Ci ho pensato un po' e, devo ammettere, non me la sono sentita di abbandonare la mia idea iniziale. Ho ripensato all'entusiasmo con cui mi sono dedicata ad introdurre la figura di Shakespeare qui in questo blog, e all'entusiasmo che mi ha dato la prospettiva di leggere o ri-leggere tutte le sue opere per poi provare a parlarne con voi. Quindi alla fine ho deciso di considerare questa ricorrenza dei 400 anni come una bizzarra e felice coincidenza, che rende il tutto solo più interessante. Ed oggi, esattamente alla fine del mese, vi parlo del Tito Andronico di William Shakespeare.
TAMORA Sappi dunque, o infelice, che non sono Tamora: ella ti è nemica ed io, invece, ti sono amica. Sono la Vendetta, inviata su dai regni infernali ad alleviare, con il massacro spietato dei nemici tuoi, il morso d'avvoltoio che rode la tua mente. Scendi, e saluta il mio arrivo in questo mondo del tuo benvenuto, conversa meco e di assassinio e di morte. Non vi è cava spelonca o luogo nascosto, né vasta tenebra o valle nebbiosa, in cui il sanguinoso assassinio e l'infame violenza possano acquattarsi compresi di paura, senza che io non li discopra e pronunzi al loro orecchio il nome mio spaventoso: Vendetta, che fa tremare il turpe offensore.Del Tito Andronico si dice che sia la prima tragedia in assoluto scritta da Shakespeare. C'è chi dice che l'abbia scritta solo per racimolare qualche soldo, chi ancora dubita che sia veramente da attribuire a lui la paternità dell'opera. Le perplessità derivano tutte da un unico motivo: la violenza che domina queste pagine. Una violenza che neanche nelle peggiori tragedie venute dopo si ritrova, una violenza che domina su qualunque altro aspetto: indagine psicologica dei personaggi, la trama, persino sulla poeticità della parola. Perciò si dice che Shakespeare avesse cercato, con questo dramma in cinque atti, di compiacere la corte elisabettiana con un facile ed eccessivo intrattenimento. Tuttavia, nonostante sia un'opera grezza rispetto a quelle che il poeta ci ha regalato successivamente, in essa si intravedono già i grandi caratteri del teatro shakespeariano.
Come lascia intendere lo stesso titolo, il Tito Andronico è ambientato nell'antica Roma. Il protagonista, Tito, è un nobile signore, valoroso combattente, che per molti anni ha difeso ed onorato la sua città combattendo contro i barbari Goti, seppellendo molti dei suoi figli morti in battaglia. Nel primo atto egli rientra a Roma vittorioso, portando con sé come prigionieri la regina dei Goti, Tamora, ed i suoi tre figli, uno dei quali viene quasi subito giustiziato. Il ritorno di Tito coincide col momento in cui i romani si trovavano a dover incoronare il nuovo Imperatore; il figlio del reggente defunto, Saturnino, reclama il suo posto al potere, ma è lo stesso popolo di Roma ad acclamare Tito, per tutti gli anni spesi a difendere la sua terra ed i suoi concittadini. E' lo stesso Tito, però, a favorire l'ascesa di Saturnino: datemi un bastone per la vecchiaia piuttosto che uno scettro per governare il mondo, dice infatti. In segno di rispetto e di ringraziamento, Saturnino si offre di sposare la figlia di Tito, la bella Lavinia, facendo di lei la sua Imperatrice. Tito acconsente, lieto e soddisfatto - e dimentico che Lavinia era già stata promessa a qualcun altro: Bassiano, il fratello di Saturnino. Dal momento che in Roma dare la propria parola significava obbligarsi a rispettarla, il mancato rispetto di un patto era una grave colpa di cui macchiarsi; per proteggere il nome degli Andonici allora, i figli di Tito e suo fratello Marco nascondono subito Lavinia per permetterle di sposare Bassiano com'era stabilito. Ovviamente a questo punto è nei confronti dell'Imperatore che Tito si è reso colpevole, e si arrabbia immensamente coi suoi familiari che l'hanno - secondo lui - disonorato davanti a tutta Roma. Nella baraonda un figlio di Tito viene ucciso da lui stesso, e l'Imperatore Saturnino decide di sposare Tamora, la regina dei Goti, la quale dal primo momento inizia ad esercitare la propria influenza sul marito, convincendolo ad avere pietà di Tito affinché lei possa tramare una vendetta più lenta e spietata per punirlo d'averla fatta prigioniera e soprattutto di non aver avuto pietà quando l'ha implorato di lasciar vivere suo figlio.
E se lei è spietata il suo amante, il Moro Aronne, lo è cento volte di più: si sazia di cattiveria, vive per veder scorrere sangue ed infliggere sofferenze. Ride del pianto altrui, non conosce il sentimento della pietà e non si pente delle proprie azioni neanche quando giunge la fine. Egli ordisce un piano da attuare durante una battuta di caccia: progetta la morte di Bassiano, fratello dell'Imperatore e ora marito di Lavinia. Dell'omicidio farà in modo che siano incolpati i figli di Tito, che per questo saranno sicuramente condannati a morte. Come se questo non bastasse, incoraggia i due figli rimasti a Tamora, Chirone e Demetrio, a soddisfare la loro lussuria sulla castità della povera Lavinia. Tamora non li ferma, anzi, li incita a perpetrare lo stupro, e son queste le pagine più dure della tragedia: quando Lavinia comprende cosa le sta per accadere supplica Tamora di ucciderla e gettare il suo cadavere in un fiume ma di risparmiarla dalla violenza dei figli in nome della solidarietà femminile. E porti tu volto di donna?, le dice quando questa si rifiuta sprezzante di risparmiarle la vergogna. Dopo lo stupro, Chirone e Demtrio tagliano a Lavinia la lingua e le mani, cosicché non potrà spiegare a nessuno cosa le sia successo, e se ne vanno deridendo le sue nuove infermità.
Così il vecchio Tito si ritrova con la sua bella figlia mutilata e rovinata per sempre, due figli messi a morte e l'unico che gli resta, Lucio, esiliato da Roma per aver minacciato di vendicare i suoi fratelli. Ed a questo punto ci ritroviamo solo a metà dell'opera, perché dopo tante lacrime versate sulle pietre - mille volte più compassionevoli dell'Imperatore e dei suoi seguaci - seguirà la vendetta degli Andronici sulla regina Tamora, su Saturnino, sul Moro Aronne.

Il Tito Andronico è un'opera che, come avrete capito, ruota attorno alla vendetta. Ma è una vendetta che sembra non arrivare mai al punto, perché quando attuata questa chiama altra vendetta ed altro sangue che chiama altro sangue ed altra vendetta. Sembra quasi che debbano morire tutti, anche coloro che son stati solo vittime, per mettere fine a questo sciagurato circolo vizioso. Un nuovo giorno è possibile solo quando i morti son stati finalmente seppelliti, ed ha le sembianze di uno dei pochi Andronici rimasti: Lucio.
Tanti sono i riferimenti al mondo classico: i personaggi coinvolti o le vicende che si trovano ad affrontare son spesso paragonati ai protagonisti delle storie narrate da Omero. Esplicitamente menzionate, invece, sono le Metamorfosi di Ovidio. Lavinia addirittura si affanna nel tentativo di voltare le pagine coi suoi moncherini, per trovare la storia di Filomela e spiegare, tramite essa, cosa le fosse successo.
Certo non è una lettura per chi ha uno stomaco debole. Non è divertente, non è particolarmente leggera. Ma come sempre mi è accaduto con i testi di Shakespeare una pagina tira l'altra, e al massimo in un paio di giorni il sipario cala sulla scena. Capisco che venga vista come un'opera grezza rispetto alle altre, e vedo da me che è un'opera che punta più sulla spettacolarità che sul contenuto; tuttavia avendo studiato Diritto Romano so bene che gli antichi latini non erano esattamente un popolo mite dolce e pacifico e sarà per questo che non ho trovato niente di surreale nelle barbarie che i personaggi s'infliggono a vicenda.
Il Tito Andronico mi è piaciuto, c'è poco altro da dire. L'ambientazione così nitida, i personaggi feroci e crudeli fino al midollo; la sventurata Lavinia, difficile se non impossibile da dimenticare. E poi Tamora ed Aronne, burattinai meschini ingannati alla fine dalla propria stessa arroganza.
Il primo Shakespeare dell'anno è stato spietato, brutale, uno splatter classico, e innegabilmente intenso.