martedì 27 giugno 2017

Manga | La ragazza in riva al mare, Inio Asano

Salve a tutti, lettori e lettrici, bentornati sul mio blog!
Lo so, state già adocchiando il titolo del post e vi starete chiedendo: ma come, due recensioni di fila che riguardano manga? Ma di libri non ne leggi più? No, ecco, di libri ne leggo ancora, però al momento mi sto cimentando con una biografia di Anna Bolena, che mi sta interessando e piacendo però essendo un testo di storia ricco di informazioni e dettagli non riesco a leggere molti capitoli di fila come capita con un romanzo, e dunque il tempo di lettura si sta dilatando. Proprio per questa ragione mi è stato facile alternare alla lettura di questo libro qualcosa di completamente diverso, come possono essere appunto dei fumetti. Io spero vivamente che, anche se non ne leggete in prima persona, queste recensioni sui manga possano interessarvi lo stesso, perché sto scoprendo delle bellissime storie ed a me fa piacere parlarvene; se però è un tipo di contenuto che non vi interessa trovare in queste pagine, fatemelo pure sapere nei commenti e ci penserò su.

Intanto oggi de La ragazza in riva al mare di Inio Asano devo parlarvi per forza, perché non posso tenermi dentro tanto pathos né posso continuare a tediare il fidanzato o la migliore amica, ai quali ne ho già abbondantemente parlato. Si tratta di una miniserie in due volumi, editi da Planet Manga al prezzo di 7,50 euro l'uno.


Koume è soltanto una ragazzina delle medie quando si prende una cotta per un ragazzo più grande di qualche anno - un senpai, come vengono chiamati in Giappone. Si tratta di un ragazzo alto e magro, con folti capelli chiari che gli ricadono ai lati del lungo viso ovale, sul quale troneggia un'espressione arrogante, tra il compiaciuto e l'annoiato. Il senpai Misaki, che già gode della fama di "donnaiolo", non si lascia sfuggire l'occasione di divertirsi con una ragazza carina come Koume, portandola a vivere un'esperienza fisica per la quale lei non è assolutamente pronta
Per Koume questo sarà un trauma, che dalla ragazzina solare, dolce, ingenua, pura che era la trasformerà in un'adolescente chiusa e triste. A scuola ed alle sue amiche non dirà e non farà notare nulla, però instaurerà un rapporto tanto intenso quanto ambiguo con Isobe. Isobe è un ragazzo lontano da tutto, sempre solo perché i genitori lavorano lontano e non tornano mai a casa, chiuso nella stanza che un tempo condivideva col fratello maggiore, suicidatosi dopo aver subito atti di bullismo. Isobe non ha amici, però gli piacciono le persone gentili. E poi gli piace Koume, al punto da essersi dichiarato più volte nonostante lei gli abbia detto chiaramente che non lo ricambia. 
Isobe però è l'unico a sapere cos'è successo col senpai Misaki, l'unico quindi con cui Koume può parlare liberamente, l'unico a cui può mostrare i propri pensieri e turbamenti.
Mi accontento di esserti utile. (...) Puoi trattarmi come un giocattolo. - le dice un giorno Isobe mentre se ne stanno seduti su quel tratto di spiaggia in cui non va mai nessuno, nemmeno d'estate.
Koume inizia a frequentare la casa sempre vuota di Isobe, o per meglio dire la sua stanza. Lui siede al computer con le cuffie in testa, lei prende in prestito i tanti manga che riempiono le librerie. E poi ascoltano spesso una canzone di un vecchio gruppo che non conosce più nessuno, Raccogliendo il vento degli Happy End. Ma non fanno solo questo: soprattutto, fanno sesso.
L'episodio col senpai Misaki aveva irrimediabilmente strappato il velo dell'innocenza di Koume, non tanto quella fisica quanto piuttosto quella mentale. Una volta intuito cosa il proprio corpo può prendere e dare tornare indietro non era più possibile, diventava piuttosto necessario andare avanti, andare oltre. Isobe e Koume, nudi nei loro corpi acerbi, sperimentano tutto ciò che la loro immaginazione suggerisce. Instancabili, insaziabili, infelici.
Il loro rapporto tocca quasi sfumature perverse. Nell'arco dello stesso pomeriggio riescono a parlare di cose importanti, a lasciarsi andare a fantasie spinte; lei non ha mai una parola dolce o di conforto per sanare la profonda infelicità di lui, lui a volte le riversa contro la propria rabbia dicendole cose orribili, davanti alle quali lei rimane in silenzio ed impassibile, come se nulla potesse mai più davvero toccarla.

Con qualche piccolo salto temporale seguiamo le loro vite fino ai primi anni del liceo, vedendoli cresciuti e cambiati e segnati in maniere completamente diverse dalle esperienze vissute. Ognuno pronto o costretto a prendere la propria strada.

La storia raccontata in questi due volumi da Inio Asano, a detta di tutti, affronta i temi della crescita, della scoperta di se stessi e della propria sessualità; è vero, ma secondo me è più complicato di così. Perché tale scoperta per Isobe ed ancor di più per Koume passa per un tormento ed una sofferenza che, specie da così giovani, non avrebbero dovuto provare.
Isobe è un ragazzo che ha sofferto tanto e che soffre tanto tutt'ora, un ragazzo che nessuno provvede a proteggere e tutelare, neppure i genitori, nonostante questi abbiano già perso un figlio troppo infelice per continuare a vivere. Trovo normale e comprensibile che Isobe sia così triste, chiuso, rancoroso; ma è quello spiraglio di luce, quel "mi piacciono le persone gentili" a dire veramente tutto di lui.
Koume, però, è emblematica ed ancor più complessa tanto da comprendere quanto da interpretare. Per come la vedo io, Koume si butta nella scoperta del sesso non soltanto per curiosità o perché son stati svegliati i suoi istinti: c'è una componente autodistruttiva nel suo atteggiamento, quasi pensasse non fosse più buona per fare altro. All'interno del loro rapporto Isobe soffre perché in fondo prova dei sentimenti per lei, e si vede invece a ricoprire soltanto questo ruolo indefinito che un giorno non avrà più alcun significato; Koume invece, per la maggior parte del tempo, sembra non provare niente, sembra quasi anestetizzata, come se il suo lato più umano fosse stato risucchiato via. Quando va da sola in riva al mare, però, lì dove non va mai nessuno nemmeno d'estate... piange.

La ragazza in riva al mare tocca note forti, drammatiche, custodendo dentro la sua corazza momenti tanto dolci da sembrare una carezza - immagini che ti fanno restare cinque minuti buoni ad osservarle, cogliendone i dettagli e sentendone dentro i sentimenti. Andando verso il finale, superati e maturati gli eventi, le prospettive si fanno un po' più luminose. Lo dicono anche le tavole: prima tempestate incessantemente dalla pioggia, poi fatte di tramonti sereni.
I disegni di Asano, cosa devo dirvi, sono meravigliosi. Mi avevano già colpita quando avevo sfogliato qualche sua opera in fumetteria, ed ora posso confermare quella che era solo una prima impressione. I volti, specie quelli dei protagonisti, sono originali, estremamente personali e si discostano da ogni altra tipologia che mi fosse capitato di vedere prima. Anche i contorni e gli ambienti son ricchi di dettagli. I paesaggi, il mare prima di tutto, sono molto suggestivi e caricano di ulteriori significati i momenti della storia.

La ragazza in riva al mare non è un manga che si può consigliare a chiunque. E' sicuramente più adatto ad un lettore con una certa maturità, che non ha a che fare con l'età quanto con la singola capacità di comprensione, di discernimento e con la sensibilità di ognuno. Il lettore deve anche essere consapevole che, specie nel primo volume, si troverà davanti molte scene di sesso esplicito.
Tuttavia io non posso far altro che sottolineare il carico emotivo contenuto in questi due volumi, la bellezza e la poeticità dei disegni di Asano. Sono sicura che si tratti di una storia che non si lascerà dimenticare, che col tempo verrà metabolizzata ancora meglio, e mi lascerà - come un amuleto - il sorriso di Koume nell'ultima tavola, piccola ed immensa in mezzo al mare.



"In questa città c'è un pezzo di mare in cui nessuno va, nemmeno d'estate. Mi piaceva passeggiare vicino alla riva, in cerca di qualcosa. I residui dei fuochi d'artificio... alghe... o un cappello volato fin qui. Di solito uno non trova quello che spera. O forse io non ho mai avuto aspettative."





venerdì 23 giugno 2017

Manga | Orange, Ichigo Takano

Salve a tutti lettori e bentornati sul blog! In questo caldo pomeriggio di giugno, non riuscendo a sonnecchiare un po' ma essendo troppo stanca per qualsiasi altra attività, ho pensato di sfruttare questo lasso di tempo per scrivere finalmente un post che stavo rimandando già da qualche giorno. Si tratta della recensione di un manga che ho concluso di recente e di cui non posso non parlarvi. Per chi non lo sapesse, ci tengo a premettere che non sono assolutamente un'esperta in questo campo, ho letto ancora pochissimi manga e fumetti - vi parlavo qui del mio avvicinamento a questa meravigliosa forma di narrazione - perciò prendete il mio approccio ed il mio modo di esporvi la mia opinione come quello della più semplice appassionata. Detto ciò, il manga in questione è Orange di Ichigo Takano, uscito in Giappone dal marzo 2012 all'agosto 2015 e portato in Italia dalla Flashbook dal novembre 2014 al febbraio 2016. Il manga consta di cinque volumi - a quanto pare in Giappone è uscito anche uno spin-off da noi ancora inedito - al prezzo di 6,90 euro l'uno.

La storia è quella della liceale Naho Takamiya, sedici anni - e dei suoi quattro migliori amici - ed inizia col primo giorno del nuovo anno scolastico. Naho sta per uscire di casa, è già in ritardo, ma prima di imboccare la porta la madre le fa notare che le è arrivata una lettera; Naho nota subito una particolarità: il nome del mittente è il suo. Nonostante lo stupore, la ripone nello zaino e si affretta a raggiungere la scuola. Quando finalmente è tranquilla al suo banco ed ha un attimo di respiro, Naho apre la lettera ed inizia a leggerla, convinta che si tratti di uno strano scherzo: la mittente dice di essere la Naho Takamiya del futuro, una Naho di ventisei anni che le scrive a distanza di dieci anni e la lettera comincia col dirle che proprio quella mattina per la prima volta in vita sua avrebbe fatto tardi a scuola. Prosegue poi comunicandole che quel giorno sarebbe arrivato in classe un nuovo ragazzo, Kakeru Naruse, appena trasferitosi da Tokyo; ed intanto che Naho legge la lettera, il professore presenta a tutti loro un ragazzo alto, coi capelli neri ed il sorriso gentile anche se un po' timido. Kakeru Naruse, per l'appunto. Naho, sconvolta, inizia a prendere più sul serio la lettera e continua a leggere, scoprendo che il motivo per cui la se stessa del futuro le ha scritto ha proprio a che fare con questo - per il momento - sconosciuto: Kakeru sarebbe subito entrato a far parte del loro gruppo, ma non molto tempo dopo si sarebbe tragicamente suicidato e tutti loro, dieci anni dopo, avrebbero ancora sofferto per i rimorsi di non aver fatto abbastanza, di non aver capito quanto Kakeru soffrisse, di non aver agito diversamente in situazioni all'apparenza banali che potevano fare una differenza. Non avere dei rimpianti, è il più importante messaggio della Naho ventiseienne alla Naho sedicenne.

Da quel momento, Naho ha a disposizione una lettera per ogni giorno, fino al giorno in cui Kakeru si era tolto la vita, con su scritte le indicazioni riguardo cosa provare a fare diversamente. La Naho ventiseienne ha potuto far questo grazie al diario che la sé di dieci anni prima aveva tenuto accuratamente aggiornato, scrivendoci ogni sera tutto ciò che le era accaduto.


Difficile spiegarvi quanto questa storia mi abbia toccata. Specie durante i primi due volumi, quando ancora stavo entrando dentro le sue atmosfere, non facevo che ritrovarmi con gli occhi lucidi di pagina in pagina. La prima cosa ad avermi colpita son stati proprio i personaggi, o meglio, il rapporto di amicizia che lega Naho, Suwa, Azu, Hagita e Takako, e poi, ovviamente, anche Kakeru. Il disegno, che praticamente si incentra tutto sui personaggi e sulle espressioni dei loro volti - raramente sono rappresentati gli sfondi - fa sì che il lettore si concentri soltanto sui loro pensieri e sulle loro emozioni, percependo ancor di più la profondità degli eventi. La protagonista, Naho, è una ragazza molto dolce. E' gentile, sempre predisposta ad aiutare chi ha vicino, ma fa molta fatica a permettere agli altri di aiutare lei, per paura di arrecare disturbo o fastidio o di far preoccupare senza motivo le persone. L'altro grande ostacolo di Naho è la sua estrema timidezza. Come molte ragazze della sua età, Naho fa fatica ad esporsi, fa fatica a vincere la sua sicurezza ed a lanciarsi nelle cose che la spaventano - si tratti di proporsi per un gioco durante la giornata dello sport, o di avvicinarsi a Kakeru. Le lettere della se stessa del futuro saranno una grandissima sfida, una fonte di ansia, di paura ma anche il miglior sprone che lei avesse mai ricevuto per superare tutti i propri limiti e comprendere di essere forte abbastanza, di essere coraggiosa abbastanza per prendere in mano le situazioni, per esprimere anche a parole i suoi veri sentimenti e non lasciarli solo sopiti dentro di sé, dove nessun altro li avrebbe mai visti. Da questo punto di vista, Orange è anche una bellissima storia di crescita.

Ma vi dicevo che mi ha colpita l'amicizia che lega questi sei ragazzi perché ho visto tutto ciò che a sedici anni avrei tanto voluto e che non sono mai riuscita a trovare. Sia chiaro, ho sempre avuto accanto persone che potevo definire amiche, proprio in quel periodo ho conosciuto la persona che ancora oggi è per me più di una sorella; ma pur avendo frequentato qualche volta una cosiddetta 'comitiva' o aver tentato di costituire dei gruppetti per l'uscita del sabato sera, non mi sono mai sentita veramente parte di un gruppo, non ho mai provato un piacevole senso di calore e di appartenenza in compagnia di altri miei coetanei. Ed ecco che i protagonisti di Orange, invece, sono quasi una famiglia - una famiglia scelta, come si dice degli amici. Sono così gentili l'uno con l'altro, così pronti a difendersi, aiutarsi, proteggersi. In poche parole, sono uniti, nonostante abbiano caratteri diversissimi. Anche la missione di salvare Kakeru toccherà ognuno di loro in maniera differente, ma non si tireranno mai indietro dal fare quanto è in loro potere o persino rinunciare a ciò a cui più tengono.

Anche il tema principale che propone Orange, ovvero quello del rimpianto e la possibilità di rifare in maniera diversa alcune cose del passato mi è molto caro, e non nego che se ne avessi la possibilità forse la sfrutterei. Nel manga l'argomento è trattato in maniera al tempo stesso molto dolce e sofferta, un misto di sentimenti che mi hanno spesso fatto accartocciare il cuore. Nelle tavole compaiono spesso anche coloro che hanno spedito le lettere, i protagonisti dieci anni dopo. E' tutto molto suggestivo e se ci si concede di lasciarsi andare all'immedesimazione le storie di questi sei ragazzi coinvolgono totalmente.
Mi sono affezionata a tutti loro, in particolare a Naho, a Kakeru e come potrei non nominare anche Suwa... sempre pronto a tendere la propria mano ed a sacrificare i propri sentimenti per un bene più importante, senza provare rancore o risentimento o facendo pesare la propria rinuncia.
I disegni della Takano mi sono piaciuti tantissimo, nella loro semplicità, li ho trovati adattissimi alla storia che mi stava raccontando. Una storia profondamente nostalgica, che sono felice di aver letto e che consiglierei un po' a tutti, così, spassionatamente.

Alla fine di ogni volume, c'è un capitolo di un'altra breve storia della Takano, una storia molto più semplice e leggera intitolata L'astronauta color primavera, che però non ho ancora letto.
Mentre di Orange è uscito tempo fa anche l'anime. Ne ho guardato le prime puntate, ma non trovandolo all'altezza del manga ho preferito lasciarlo stare e conservare intatto il ricordo dei disegni.

In Italia è disponibile anche un altro lavoro di Ichigo Takano, intitolato Dreamin' Sun. La trama è di ben minor spessore rispetto ad Orange, ma avendo apprezzato il suo tratto ed il suo modo di narrare, non mi dispiacerebbe dare una chance anche a questa sua opera precedente, più avanti.

E voi, avete letto qualcuno dei manga che ho nominato? Cosa ne pensate dei temi trattati in Orange? Se aveste la possibilità di rifare qualche parte del passato, sareste in grado di non commettere gli stessi errori?


martedì 20 giugno 2017

Mansfield Park, Jane Austen



(...) tu sembri aver paura di ricevere attenzioni ed elogi con la stessa intensità con cui le altre donne, invece, temono di venir trascurate.






Mansfield Park è un perfetto microcosmo. E' la residenza della famiglia Bertram ed è anche lo spazio in cui si svolge la gran parte del romanzo, iniziato da Jane Austen nel 1812 e pubblicato nel 1814. La protagonista è Fanny Price, nipote dei Bertram, che viene accolta a Mansfield Park quand'è ancora una bambina: la sua famiglia è molto numerosa, ma Mr Price non ha granché da offrire a tutti i figlioli  che ha messo al mondo; gli zii Bertram, di ben più elevato rango sociale, si offrono di aiutare i nipoti come possono, ad esempio avviando il maschio più grande alla carriera in marina ed accogliendo Fanny in pianta stabile entro la loro dimora. Come potrete ben immaginare, all'inizio è tutto molto difficile per Fanny, che soffre il distacco dall'unica casa che sino a quel momento aveva conosciuto e soffre per la mancanza del fratello maggiore, William, col quale sentiva un legame speciale. Come se non bastasse, gli anni della sua adolescenza a Mansfield Park non sono una passeggiata: i componenti della famiglia ci tengono a non farle dimenticare mai le sue umili origini affinché Fanny non pensi di potersi mettere sullo stesso piano delle sue cugine, Julia e Maria, due signorine molto graziose, eleganti, dotate di ogni talento acquisito - prive, però di un più profondo spessore umano.
Ciò che consente a Fanny di sopportare tale situazione senza risentirne troppo è la natura del suo carattere, fin troppo umile, serio, virtuoso. Inoltre riceve un grande conforto dal secondogenito dei Bertram, il cugino Edmund, che in un certo senso colma l'assenza del fratello William, diventando per Fanny un fidato consigliere, una fonte di sicurezza in mezzo a tante persone con cui non può permettersi confidenze, un protettore in ogni situazione spiacevole.

Il Park viene animato anche da altri caratteri, in particolare i fratelli Henry e Mary Crawford, che di fatto movimentano la trama e scompigliano le vite sia di Fanny che di Edmund. Ed è proprio il contrasto tra questi quattro personaggi ad essere interessante: Fanny ed Edmund sono i giusti, se vogliamo, incarnano la virtù e condividono i medesimi alti valori; Henry e Mary, al contrario, sono molto più vivaci, liberi, politicamente scorretti - diremmo noi oggi. I rapporti che si instaurano tra loro sono intricati, da leggersi a più livelli e contribuiscono a delineare meglio la personalità di ognuno.
Chi però come me è già un affezionato della Austen non potrà non notare una particolarità: in Mansfield Park la protagonista non ha nulla delle tipiche eroine austeniane, al contrario è proprio la controparte di Fanny - ovvero Mary Crawford - ad avere quello spirito allegro, vivace, esuberante accompagnato da una lingua tagliente che i lettori della Austen son soliti riconoscere nelle protagoniste dei suoi romanzi. Ancora più strano, è che il personaggio di Mary viene palesemente condannato nel corso della storia, dal momento che il lettore viene naturalmente portato a schierarsi dalla parte di Fanny, che non ha mai provato grande simpatia per l'amica e non manca mai di condannarne tra sé e sé i modi ed i pensieri.

La prima parte del romanzo ha un andamento lento, è tutta volta ad introdurci nella routine di Mansfield Park, a farci familiarizzare a fondo con tutti i suoi abitanti ed abituali frequentatori; poi, oltrepassata la metà, tutto si fa movimentato, tra corteggiamenti, matrimoni, viaggi, piccoli o grandi sconvolgimenti della tranquillità domestica, persino delle fughe; sono rimasta incollata alle pagine, troppo curiosa di scoprire che piega avrebbero preso gli eventi. Purtroppo dopo quasi seicento pagine ho trovato il finale troppo frettoloso e prevedibile, ancor di più dopo aver assistito ad un colpo di scena che mi aveva soddisfatta pienamente, facendomi pensare che zia Jane non è mai banale. Devo ammettere che la conclusione del destino di Fanny mi ha un po' delusa, anche se forse era proprio così che doveva andare e non poteva essere altrimenti.

Pare che Mansfield Park sia il romanzo meno amato dai fan della scrittrice inglese e quello maggiormente preso ad esempio dai suoi detrattori per sostenere le loro tesi; in questo caso non faccio differenza: tra tutti i libri di Jane Austen che ho letto - ovvero quasi tutti, mi manca solo Persuasione - Mansfield Park si classifica all'ultimo posto. Ciò non significa che non mi sia piaciuto, affatto: anche qui ho trovato tutto ciò che amo della penna della Austen, una scrittrice che non posso non considerare tra le mie preferite. La sua capacità di definire in maniera tanto accurata le personalità dei suoi personaggi e di dipingere sin nei minimi dettagli il contesto in cui si muovono. Persino i suoi caratteristici personaggi-macchietta, quelli insopportabili che la Austen non ci risparmia mai - in questo caso le zie e la madre di Fanny - hanno una cifra caratteristica inconfondibile. In Mansfield Park c'è anche tanta carne al fuoco, oltre alle vicende personali e sentimentali dei personaggi. Una parte importante è il dibattito sul sacerdozio, che in senso più ampio diventa una riflessione sul concetto di professione - professione come definizione di sé, un argomento che trovo attualissimo (volendo, il dibattito potrebbe arrivare alla situazione che vive oggi chiunque abbia tra i 20 ed i 30 e passa anni, su come l'incertezza di un presente ed un futuro professionale porti anche ad una maggior difficoltà ad identificarsi e definirsi come individui all'interno della società).
Oltre ai contenuti, Jane Austen scrive semplicemente benissimo e sa intrattenermi anche quando interi capitoli ruotano attorno ad un unico argomento di dubbia importanza.

In definitiva, vi consiglio Mansfield Park? No, se non avete mai letto nulla di Jane Austen. Innamoratevi prima di Elizabeth Bennet e Mr Darcy in Orgoglio e Pregiudizio, oppure lasciatevi trasportare dai tumulti di Elinor e Marianne in Ragione e Sentimento (che in molti hanno trovato noioso, ma io l'ho amato tanto). Se invece sapete già di amare la prosa di zia Jane, Mansfield Park non può proprio mancare dai vostri scaffali.

mercoledì 14 giugno 2017

Spectator #8: Chiamatemi Anna

Ci sono cartoni animati famosissimi che da bambina non mi sono filata per niente. Il mio gusto infantile era forse più selettivo di quello che ho adesso, e difficilmente un cartone poteva guadagnarsi il mio interesse quanto i prescelti, ovvero Sailor Moon Lady Oscar, seguiti da Mila & Shiro. Pertanto di Anna dai capelli rossi non ho nessunissimo bel ricordo d'infanzia, né tanto meno mi è mai capitato di trovarmi in mano il romanzo da cui la storia è tratta, scritto da Lucy Maud Montgmory; per qualche strana ragione invece mi sono avvicinata all'anime in età adulta, e nonostante ci fossero aspetti che non mi convincessero del tutto un po' la trama, un po' i messaggi veicolati dalla storia, un po' proprio il personaggio sopra le righe di Anna mi hanno pian piano fatta fortemente affezionare a tutti i protagonisti di Green Gables. Ecco perché quando vedendo apparire questa serie intitolata Chiamatemi Anna su Netflix mi sono subito incuriosita, e non ho esitato a lanciarmi nella visione della prima lunghissima puntata.


Anna è un'orfana di tredici anni, che ha trascorso la sua vita sballottata tra l'orfanotrofio e diverse famiglie per le quali lavorare come una schiava; il suo arrivo a Green Gables all'inizio è soltanto un errore: i fratelli Matthew e Marilla Cuthbert infatti si aspettavano un maschio, al quale iniziare a delegare parte del grande lavoro nella loro fattoria. Anna però, con la sua intelligenza così brillante e così vivace, con la sua allegria, la sua esplosiva voglia di vivere ed anche con la sua dolcezza riuscirà a conquistare sin da subito il cuore tenero di Matthew e pian piano anche quello della più fredda e rigida Marilla.

Se mi chiedeste di trovare dei difetti ai sette episodi che compongono questa prima stagione, sinceramente non ci riuscirei proprio. Sin da subito i paesaggi della campagna inglese mi hanno riempito gli occhi di meraviglia, in un tripudio di colori che non diminuivano di bellezza neanche col cambiare delle stagioni, quando i prati e gli alberi di ciliegio perdevano i loro abiti primaverili per coprirsi di bianco. L'ambientazione degli interni non è da meno: la casa dei Cuthbert e così anche la scuola, nella loro frugalità, rispecchiano fedelmente l'immagine che il cartone animato aveva suggerito. E per completare l'atmosfera, non posso non consigliarvi di guardarla in lingua originale, perché la musicalità della lingua inglese in questo caso è come una continua poesia, soprattutto quando Anna si lancia nei suoi monologhi e nelle sue fantasticherie.

I personaggi, il modo in cui vengono introdotti, il modo in cui poi vengono raccontati è bello quanto può esserlo dentro un romanzo. I Cuthbert sono due persone ormai avanti con gli anni, un fratello ed una sorella con alle spalle una vita fatta principalmente di sacrificio, di rinunce che ancora non hanno smesso di arrecare dolore quando alla sera ci si ritrova soli davanti al caminetto acceso. 
Matthew è un uomo silenzioso, un po' orso quasi, impacciato in ogni cosa che implichi l'aver a che fare con un altro essere umano; eppure il suo cuore, quel cuore già un po' acciaccato dall'età e dal troppo lavoro, è colmo di una bontà totale, di generosità, di amore che forse non ha mai potuto riversare apertamente su nessuno e quando un misunderstanding gli piazza in casa quel piccolo tornado con le lentiggini e le trecce rosse arriva finalmente la sua occasione. A qualcuno potrà sembrare sciocco, ma non negherò di essermi commossa spesso per i gesti che Matthew, nonostante la sua timidezza, riesce a fare pur di rendere felice la sua Anna. Così come mi intenerivano profondamente i primi sorrisi, miti e trattenuti, che Anna riesce a strappare alla severa Marilla, che poi tanto severa non è. Ecco, Marilla penso sia uno dei miei personaggi preferiti, perché la sua rigidità è il frutto di un'esistenza in cui essere forti e mettere da parte ogni desiderio personale non era una possibilità o una scelta, ma un obbligo dal quale non era previsto tirarsi indietro. Marilla, a ben vedere, è una persona giusta: commette degli errori e quando si rivelano tali è pronta a tornare sui suoi passi e chiedere umilmente scusa; è una persona con un profondo senso dell'orgoglio e della dignità, che pure impara ad accettare di chiedere aiuto, quando arriva il momento di riceverne. Per come la vedo io, Marilla è una donna che ha chiuso tutte le porte per non aspettarsi più nulla, per non sentire tutte le mancanze che l'esperienza le ha lasciato; eppure ha il coraggio di riaprirle, una fessura alla volta, mostrando puntata dopo puntata tutta la sua umanità.

Altrettanto ben caratterizzati sono tutti gli altri personaggi che ruotano attorno ai protagonisti, dalla vicina di casa Rachel Lynde, inguaribile pettegola dalla lingua troppo lunga che infatti causa il primo impetuoso scoppio di rabbia della povera Anna; e poi la dolce ed elegante Diana Barry, la prima vera amica che Anna possa vantare nella sua vita, che le sarà vicina e la aiuterà come meglio può in tutte le complicate situazioni in cui incapperà ogni volta che mette piede in classe - una classe che per quanto piccola non è meno ostile ai nuovi ed ai diversi. E poi l'anziana parente di Diana, una vecchia, ricca, raffinata signora rimasta indipendente per scelta, che Anna elegge a suo modello di esempio e d'ispirazione; e Gilbert Blythe, l'amico-nemico di Anna, le cui vicende aggiungono del pepe a tutta la storia.

Ma la menzione d'onore, senza ombra di dubbio, va tutta a lei, la protagonista assoluta ed indiscussa, Anna Shirley-Cuthbert, Anna dai capelli rossi, "Anne with an e". Innanzi tutto trovo Amybeth McNulty, l'attrice che la interpreta, non soltanto perfetta per il ruolo - sembra proprio uscita dal cartone animato! - ma fin troppo graziosa; al di là di questo, e ben più importante, sono rimasta sconcertata dal suo talento. Non me ne intendo di recitazione, ma non credo che il ruolo di Anna fosse facile da interpretare: basta considerare la quantità di parole e paroloni che escono dalla sua bocca ogni volta che parla, i suoi lunghissimi monologhi, e la passionalità che nel bene e nel male caratterizza il personaggio. Beh, penso che la McNulty sia stata sempre all'altezza ed abbia davvero saputo dare vita a tutte le esuberanze ed intemperanze della scatenatissima Anna.
Adoro Anna Shirley per tutto ciò che rappresenta e che insegna. Pur essendo così giovane, Anna ha già conosciuto fin troppa fatica, sofferenza, ingiustizia declinata in tutte le forme possibili; eppure sono state proprio le sue esperienze ad insegnarle tutto ciò che sa e di fronte ad una casa che brucia o una bimba soffocata dalla tosse lei non si spaventa, si rimbocca le maniche e sa precisamente cosa fare. Non solo: Anna Shirley è un continuo inno alla bellezza di essere se stessi, un canto di rivolta fatto di pura fantasia. Nonostante la sua aria spensierata e le sue valanghe di chiacchiere possano far pensare che sia una con la testa sempre tra le nuvole, io credo che Anna stia fin troppo coi piedi per terra, tant'è che di fronte ai problemi non fugge mai, al contrario, si fa salda e lucida più di quanto sarebbero in grado di fare molti adulti e s'impegna a trovare ogni possibile soluzione. Tutte le storie che racconta a se stessa ed agli altri, il suo continuo fantasticare e spingere le persone che ha accanto a stimolare ed esercitare la propria fantasia è il necessario palliativo, è la coccola a fine giornata che non avendo mai ricevuto Anna ha imparato a darsi da sola; era il conforto tra le mura ostili dell'orfanotrofio, un piccolo rifugio nelle case altrui che lei non ha mai potuto chiamare proprie. Per quello, a differenza di molte opinioni che mi è capitato di leggere o sentire, non ho trovato per nulla fastidiosi i voli pindarici della mente e della lingua di Anna - al contrario, è un aspetto che mi suscita infinita tenerezza e che mi rende questo personaggio più simpatico che mai. E poi, a noi lettori ed appassionati di storie, come può non piacere una bambina che proprio in esse ha trovato la propria salvezza? Nel fingersi la principessa Cordelia, o immaginare una vita ed una fine avventurosa dei propri genitori mai conosciuti. Anna è un portento, una forza della natura, e a me piace proprio così com'è. 

Ribadisco che non conosco il libro, ma la serie prodotta da Netflix ha messo in luce anche moltissimi elementi degni di nota, ognuno dei quali potrebbe divenire motivo di riflessione, di approfondimento, di discussione. Penso ad esempio alla condizione degli orfani, praticamente privi di ogni forma di protezione, utilizzati come manodopera a costo zero e senza alcun riguardo per la loro tenera età; oppure ad un tema senza tempo come le difficoltà che s'incontrano a scuola, anche una scuola piccola come quella frequentata da Anna e dalle sue compagne; si potrebbe parlare del pregiudizio - anche questo un tema purtroppo universale - come quello subito da Anna prima di riuscire a conquistare la fiducia ed il rispetto di tutti i vicini. Uno dei temi che ho trovato più interessante in assoluto è quello del femminismo: iniziano ad aprirsi degli spiragli sulla condizione della donna, che forse non era poi fatta soltanto per sfornare torte e bambini. L'argomento viene proposto sia per mezzo di un gruppo di donne all'avanguardia che, avendo delle figlie femmine, si riuniscono per confrontarsi e scambiarsi idee, opinioni e letture riguardo la formazione delle donne di domani, sia per mezzo della stessa Anna che non esita mai a dichiarare che non ha alcun senso distinguere tra mansioni da uomo e mansioni da donna, dal momento che lei sarebbe perfettamente in grado di far bene le une quanto le altre.

Insomma, Chiamatemi Anna è proprio una serie ben fatta, che mi sento di consigliarvi spassionatamente. Intanto che ci pensate io vi lascio qui sotto la sigla, perché persino quella è bellissima.










sabato 3 giugno 2017

Mi chiamo Jones, Bridget Jones


Ho un barattolo di Pringles in mano, quelle al gusto Sour cream & onion che sono le mie preferite. I capelli legati così come capita, tra l'altro di un colore ormai incomprensibile perché li tingo di rosso ma sono passati mesi dall'ultimo ritocco. Sono in camicia da notte, spalmata sul divano, a pensare che la mia vita è abbastanza un disastro. Sì, mi sento molto Bridget Jones in questo momento.

Sapete, dall'ultima volta che mi sono fatta leggere da queste parti ho letto davvero molto poco, però ho portato a termine libri meravigliosi, come Il circolo Pickwick di Charles Dickens, rivelatasi probabilmente la lettura più divertente che io abbia mai affrontato, e poi Uccelli di rovo di Colleen McCullough, il romanzo preferito di mia nonna paterna, che proprio lei ha voluto assolutamente prestarmi. Ed è stato una scoperta ad ogni pagina, un lungo viaggio nella selvaggia ed arida Australia, un viaggio appassionante come pochi che mi ha fatto scoprire un'autrice a dir poco straordinaria.
Mi dispiace sul serio non aver scritto nulla a proposito di cose belle come queste, però è successo ed è successo proprio perché la mia vita è abbastanza un disastro.

Se non mi preoccupassi affatto di ciò che potreste pensare di me scenderei più nei dettagli, raccontandovi ad esempio che pochi giorni fa ho compiuto ventisei anni e che in questo poco più di quarto di secolo non ho combinato assolutamente nulla di socialmente utile o accettabile. Quali che siano le motivazioni, i fatti sono che ho mollato gli studi dopo aver tentato più d'una carriera universitaria e non ho mai avuto uno straccio di lavoro né una qualunque occupazione che gli somigliasse vagamente. Nell'ultimo periodo avevo preso in considerazione la possibilità di riprendere gli studi, una cosa che da una parte vorrei senza dubbio e dall'altra - a causa dei precedenti insuccessi e dell'amara verità che cominciando ora vedrei la laurea verso i trent'anni suonati - mi spaventa a morte. Ma pazienza, perché ora sì che ne ho di tempo per pensare.

Già, perché a fine aprile sono riuscita a procurarmi due fratture scomposte alla gamba sinistra, tibia e piatto tibiale (un'oscura e complessa componente del ginocchio di cui ignoravo l'esistenza, e che avrei volentieri continuato ad ignorare). Tra mille disagi, dolori indescrivibili e ansie da star male, sono stata operata dopo circa quindici giorni di attesa - per un totale di venti giorni di ospedalizzazione - passati con la gamba tenuta ferma alla bell'e meglio e senza potermi muovere di mezzo millimetro; se vi dico che prima del mio arrivo in pronto soccorso non avevo mai fatto le analisi del sangue per quanto ne ho sempre avuto la fobia, potrete solo vagamente immaginare quanto io sia rimasta traumatizzata da tutta questa esperienza.

Prima ancora che smettessi di provare i dolori dovuti all'intervento, già stavo provando anche quelli dovuti alla fisioterapia, perché il mio sogno di starmene in pace una volta tornata a casa, finalmente a riposo, è stato fin da subito spazzato via: a quanto pare quando c'è di mezzo il ginocchio il recupero dev'essere più rapido possibile, altrimenti si va incontro ad altre problematiche ancora più complesse.
E quindi niente, da un mese le mie giornate sono scandite dagli esercizi che devo fare, dall'ansia che ho prima di farli, dalla stanchezza devastante dopo averli fatti.

Per lo meno, direte voi, con tutto questo tempo a disposizione avrai letto un sacco!
Proprio per niente, invece, perché come scrissi in un post tempo fa io leggo quando sto bene, ed in questo periodo sono stata giù di morale come poche altre volte prima, e non sono riuscita a leggere neanche una pagina. Fino a qualche giorno fa: non so se è sintomo che almeno di testa e di umore sto un po' meglio, o se è solo che dovevo necessariamente fare qualcosa di diverso; quale che sia la ragione - e non me ne importa un fico secco - ho iniziato Mansfield Park di Jane Austen ed in breve avevo bruciato le prime cento pagine.

Credo sia proprio per questo che non ho saputo trattenermi dal tornare qui. Se leggo, poi avrò tanto da dire al riguardo, e dove potrei farlo se non qui?

E, beh, questo era quanto.
Volete un po' di Pringles?

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Anna Karénina , Lev Tolstòj, Russia 1875-77 – ma anche qualsiasi altro luogo e tempo dacché esistono l’uomo e la donna. Il commento al rom...