martedì 5 gennaio 2016

I Pilastri, Iliade #3: Libro Terzo

I patti giurati e il duello di Alessandro e Menelao
«Ah sciagurata, perché vuoi sedurmi?
Certo ancora più avanti fra le città popolose
o della Frigia o della Meonia amabile mi spingerai,
se anche laggiù c'è qualcuno a te caro fra gli uomini...
Perché adesso Menelao, il divino Alessandro
avendo battuto, me, l'odiosa, vuol ricondurre a casa,
per questo tu proprio adesso sei qui, meditando inganni?
Va', siedi vicino a lui, lascia le strade dei numi,
non ritornare coi piedi tuoi sull'Olimpo,
soffri sempre intorno a lui, custodiscilo,
fino a quando ti faccia sua sposa, anzi schiava!
No, io non andrò là, sarebbe odioso,
per servire il suo letto! Dietro di me le Troiane
tutte faranno biasimo: pene indicibili ho in cuore».



Avevamo lasciato l'esercito troiano e quello acheo schierati l'uno di fronte all'altro, praticamente a pochi metri di distanza. Dall'inizio di questo terzo libro la promessa fatta da Zeus a Teti – che costituiva una delle parti più importanti del libro precedente – viene messa da parte e l'attenzione è tutta sugli uomini, con un unico intervento divino da parte di Afrodite.

Alessandro bello come un Dio, il troiano che ha dato inizio a tutto col rapimento della bella Elena, si fa avanti, sfidando a duello tutti i campioni degli Achei; ad accettare senza esitazioni è – giustamente – Menelao caro ad Ares, primo marito di Elena. Al che Alessandro «sbigottì in cuore, / indietro, verso i compagni si trasse, fuggendo la morte.» Comportamento davvero valoroso, non c'è che dire, e infatti si becca una bella strigliata da parte di Ettore. Alessandro si riprende, umilmente dà piena ragione al compagno, e fa un ragionamento senza una piega: propone ad Ettore di far sedere gli eserciti, lasciar andare lui e Menelao al centro per sfidarsi in duello; chi vince si prenderà Elena e tutti i beni, mentre tutti gli altri facciano finalmente la pace e tornino ognuno a casa sua. Semplice, no? Infatti Ettore ne è entusiasta e grazie anche ad Agamennone che placa i suoi uomini riesce a fare la proposta, felicemente accolta da tutti, tanto che i signori mandano gli araldi ad organizzare quanto necessario a sancire lealmente il patto.

La scena si sposta dal campo dove si trovano gli eserciti alle mura di Troia, dove finalmente incontriamo direttamente 'sta benedetta (o maledetta) Elena. La donna viene raggiunta da Iri, la dea dell'arcobaleno e messaggera degli dei già intervenuta nel libro precedente, che prendendo le sembianze della cognata la invita a lasciare la sala dov'era impegnata a tessere una grande tela color porpora per andare sulle mura a vedere Alessandro e Menelao pronti a battersi per lei. «Dicendo così, la dea le mise in cuore dolce desio / del suo primo marito, dei genitori, della città...». Elena si copre con vesti bianche e, versando una tenera lacrima accorre alle mura. Qui stavano già gli anziani capi Troiani, che in pratica spettegolavano su di lei, ma c'era anche Priamo, che la invita accanto a lui e le chiede di parlarle dei vari guerrieri achei. Questa è stata senz'altro una delle parti più suggestive, perché ho provato la sensazione di trovarmi sulle mura accanto a loro, di avere una visuale dall'alto, di guardare dove indicava il braccio di Priamo e poi di ascoltare attentamente le descrizioni di Elena. Bellissimo. E bello anche il rispetto di Priamo nei confronti degli avversari.

Torniamo poi in mezzo agli eserciti, gli araldi hanno fatto quanto richiesto e si ritrovano l'uno di fronte all'altro Agamennone, Priamo e altri signori per stringere il patto, il quale sancisce che: Alessandro e Menelao si sfideranno in duello; se vince Alessandro egli si terrà Elena e tutti i beni, e gli achei se ne torneranno a casa per mare; se vince Menelao, i troiani dovranno restituirgli Elena e i beni, e pagare un compenso agli achei tale che si ricordi ancora tra gli uomini a venire. Nel caso in cui i troiani si rifiutassero di pagare tal compenso, Agamennone minaccia di restare a combattere finché non raggiunge il suo obiettivo. Detto fatto, tutti d'accordo: si beve vino, si versa acqua sulle mani dei capi, si sgozzano agnelli (tali erano gli antesignani della firma d'un contratto). Dunque il duello può aver luogo: Ettore e Odisseo si occupano di misurare il campo e di scuotere le sorti in un elmo per stabilire chi lancerà l'asta per primo. Toccherà ad Alessandro. I due si preparano, mirabile la descrizione di come i due vestono l'armatura, quasi scene che oggi vedremmo agli angoli opposti di un ring, e poi: «Quando fuor dalla folla, di qua e di là, si furono armati, / s'avanzarono in mezzo ai Troiani e agli Achei, / guardando ferocemente». Indescrivibile la narrazione del duello: così nitida che il lettore ne può vedere perfettamente ogni movimento, ogni colpo preso o schivato, ogni muscolo tendersi e ogni contrazione sul volto di uno o dell'altro soldato. Ad un certo punto Menelao era riuscito a togliere l'elmo ad Alessandro ed era pronto ad ucciderlo, ma proprio in quel momento interviene la dea Afrodite, che nascondendo Alessandro in una fitta nebbia lo porta presto via, posandolo nel talamo odoroso di balsami e in fretta va a chiamare Elena sulle mura. Prendendo stavolta le sembianze di una sua vecchia amica, le dice di correre dal suo Alessandro, ma Elena stavolta riconosce la dea e indignata le rivolge le parole che ho riportato in apertura, del cui tono aspro e duro potremmo forse stupirci, essendo pur sempre rivolte ad una divinità. Ovviamente Afrodite non se le fa cantare,  e con qualche velata minaccia non ci mette molto a condurre Elena nella casa di Alessandro. Sedendo accanto al letto di quest'ultimo, Elena non nasconde i suoi pensieri, e gli consiglia di non andare oltre con Menelao se non vuole morir presto sotto la sua lancia. Alessandro c'ha voglia, («Mai così il desiderio avviluppò il mio cuore», il cuore, sì, ti crediamo tutti) quindi la rabbonisce e se la porta a letto.

Intanto a Menelao sono giustamente girate le scatole e se ne va in giro tra la folla, simile a belva pronto a sbranare Alessandro non appena gli capitasse a tiro. Agamennone, stizzito pure lui, dice che la vittoria di Menelao era ormai chiara, e ricorda a tutti quali erano i patti.
Manco fosse il regista della peggio serie tv, Omero chiude qui il terzo libro, alla prossima puntata: suspence. Io infatti non ho retto e mi sono letta anche il quarto, ma voi aspettate la settimana prossima per saperne di più (trollface).

Le parti più belle di questo terzo libro sono senz'altro le descrizioni – quelle fatte da Elena dall'alto delle mura, quelle dei preparativi del duello, quelle del combattimento stesso; si ritrovano ancora ricche metafore, meno che nei precedenti Canti devo dire, ma molto evocative. Sono stata contenta d'incontrare Elena, finora solo nominata per bocca d'altri. E trovo affascinante come gli dèi appaiano come bambini capricciosi, che vanno a mettere lo zampino nelle faccende degli uomini spesso complicando le cose piuttosto che agevolandole. Voglio dire, se Afrodite non fosse intervenuta Menelao avrebbe ucciso Alessandro e le cose si sarebbero svolte come stabilito dai patti giurati, fine della guerra. Ma a quel punto non avremmo avuto il resto del poema, e allora che gusto ci sarebbe stato?

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