sabato 28 aprile 2018

#unadaphnealmese - e qualche altra novità

Buon fine settimana, lettori e lettrici!

Una volta tanto vi importuno con qualcosa di diverso da una recensione. Innanzi tutto volevo informare il mio pubblico di blogger che da un po' di tempo a questa parte ho aperto una pagina Facebook per In Omnia Paratus (questa qui!), ho inserito il link anche nella colonna a sinistra, ma metti che vi fosse sfuggito. Diverso tempo fa avevo accennato che stavo meditando sulla spinosa questione Facebook sì, Facebook no, ed alla fine mi sono decisa per il motivo cui arriveremo tra poco. In realtà non sono per niente brava nella gestione di questo social, spero però di coinvolgere qualche appassionato lettore/lettrice in più e di poter condividere con voi in maniera attiva e diretta pensieri, opinioni e quant'altro su tutto ciò che ci piace. Detto ciò, veniamo al motivo principale di questo post.

Tramite Instagram (linkato sempre a sinistra, e comunque mi trovate come julia_inomniaparatus) ed insieme alla mia Amica Lettrice (alcolibristi_anonimi, su Instagram) abbiamo lanciato - o per meglio dire, stiamo provando tantissimo a lanciare - una semplice iniziativa, ovvero avviare un gruppo di lettura incentrato su Daphne Du Maurier. Perché proprio Daphne Du Maurier? Beh, dopo un lungo e faticoso brainstorming siamo arrivate a lei, perché volevamo scegliere un'autrice che né io né la mia amica avessimo mai letto; un'autrice (o autore) che fosse interessante, ma che non rappresentasse una scelta scontata o già molto popolare tra i lettori. Personalmente volevo iniziare a leggere quest'autrice da parecchio tempo, perciò sono molto felice che sia lei la protagonista di questo nostro piccolo progetto.

Come funzionerà questo Gruppo di Lettura?
E' molto semplice. Abbiamo intenzione di leggere, tutti insieme, un romanzo al mese della Du Maurier, con la speranza che chi decide di partecipare condivida attivamente i suoi pareri e le sue emozioni durante la lettura. Potete farlo dove preferite: sul blog se ne avete uno, sul vostro profilo Instagram, sulla mia pagina Facebook... l'hashtag da utilizzare è #unadaphnealmese.
Sarebbe poi bellissimo se, alla fine del mese, ogni partecipante condividesse con tutti gli altri una recensione, o un commento complessivo sul libro che abbiamo letto.

Il romanzo con cui cominceremo quest'avventura, a partire dal 1 Maggio, è I parassiti edito da Il Saggiatore, sia nella versione elegante che vedete in foto (che costa 17 euro, ma io ho avuto la fortuna di trovare usato a soli tre euro!), sia in un'edizione economica al prezzo di 9, 50 euro. Ovviamente esiste anche la possibilità di trovarlo usato, se avete fortuna, o di prenderlo in prestito in biblioteca qualora vogliate partecipare ma non volete/potete spendere troppo. Di seguito vi lascio la trama del libro, che mi incuriosisce davvero tantissimo.

Nella Francia e nell'Inghilterra tra le due guerre, la sagace penna di Daphne Du Maurier narra gli intricati legami della famiglia Delaney. Di quegli orribili Delaney, cicale in un mondo di formiche: prima bambini selvaggi e indisciplinati, poi adulti intrappolati in uno stato di aridità emotiva. Parassiti. Arroganti. Ciascuno a modo suo affamato di attenzione e affetto. Non una, ma tre volte parassiti. Perché si nutrono del barlume di talento ereditato dai genitori (artisti geniali, cantante lui, ballerina lei), perché non hanno mai veramente lavorato, perché vivono in un mondo di fantasia dove esistono solo loro tre: Maria, Niall e Celia Delaney, recitazione, canzoni e disegno. I primi due brillanti, frivoli ed egocentrici (l'amore che li lega è solo fraterno?), la terza tanto docile e timida da rinunciare a se stessa, alla vita e al proprio talento, nascondendosi dietro la dedizione al padre. Tutti così intimamente uniti da apparire estranei e distanti da chiunque altro, e da affidare a una voce corale, che fonde prospettive ed emozioni, il racconto della loro ricerca di un mondo diverso da quello sfavillante, privilegiato e senza regole in cui sono cresciuti. La scrittura di Daphne Du Maurier, lei stessa nata in una famiglia di impresari teatrali e attori, è palpitante e attenta al dettaglio dei paesaggi interiori di questo strano clan: i Delaney sono il caos, e il caos lo portano ovunque.
Non posso che sperare che qualcuno si unisca a questo gruppo di lettura, anche perché se dovesse funzionare (ovvero, vedere anche solo un minimo di partecipazione) ho già in mente un'altra autrice che mi piacerebbe affrontare insieme a voi, dopo la Du Maurier.
Nei prossimi giorni dedicherò un post alla biografia dell'autrice, così da farvela conoscere un po' meglio prima di addentrarci nella sua produzione.

Fatemi sapere se sarete dei nostri!
Un abbraccio, e buon week-end


giovedì 26 aprile 2018

Un incantevole aprile, Elizabeth von Arnim

Titolo originale: The Enchanted April
Autrice: Elizabeth von Arnim
Anno di pubblicazione: 1922
Traduzione: Sabina Terziani
Editore: Fazi Editore
Pagine: 287
Prezzo: 15 euro
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Non credo di esser mai stata più in tema di così con una lettura. Sono stata poco originale, questo è sicuro - provate a cercare Un incantevole aprile su Instagram, e vedrete quante altre persone hanno voluto abbinare questa lettura al mese corrente - ma poco importa se per una volta mancare di originalità è il prezzo da pagare per ricevere in cambio un prezioso connubio tra ciò che è contenuto tra le pagine di questo libro, e l'ambiente circostante. Sì, perché oltre a srotolarsi nell'arco del mese di aprile, questa storia narrata dalla von Arnim si svolge anche in Italia, per la precisione nel castello medievale di San Salvatore, in Liguria. Salvo qualche acquazzone primaverile, tra le pagine di Un incantevole aprile splende un sole dolce - non ancora incattivito come quello dell'estate - e tutto è in fiore, specialmente il glicine e le dafne. Quando alzavo gli occhi dal libro, potevo ammirare un paesaggio simile: i fiori di pesco e di ciliegio, i rami degli alberi di cachi e di fico, spogli e nudi dopo le gelate invernali, che timidamente tirano fuori i primi germogli verdi. Anche le tante piantine in vaso o a terra sparse per il giardino sono ormai sbocciate nei loro colori allegri. Credo proprio di aver fatto bene a leggere ora questo breve romanzo, perché è stato bello avere intorno immagini molto simili a quelle che ogni mattino vedevano Mrs. Wilkins, Mrs. Arbuthnot, Mrs. Fisher e Lady Caroline.

Sono queste quattro donne londinesi le protagoniste del romanzo, quattro perfette sconosciute accomunate soltanto da diversi sensi d'infelicità e di completa insoddisfazione personale. Lotty Wilkins è la moglie di Mellersh Wilkins, un avvocato ambizioso ed un po' avaro, accanto al quale Lotty è diventata sempre più insicura e repressa, al punto da avere serie difficoltà ad esprimere qualsiasi opinione in pubblico, facendo dubitare l'avvocato di aver scelto la ragazza giusta; Rose Arbuthnot invece è prigioniera di un matrimonio che praticamente non esiste più: suo marito, firmandosi con un altro nome, guadagna da vivere scrivendo le biografie delle amanti dei re, e lei che è profondamente religiosa non può accettare che il loro benessere economico sia frutto del peccato. Il marito di Rose passa quasi tutto il suo tempo nel suo studio tornando raramente a casa, mentre lei dedica tutte le sue energie mentali e fisiche alle opere della parrocchia, cercando di aiutare i poveri. Mrs. Fisher è invece un'anziana signora ormai vedova, che incarna in tutto e per tutto la mentalità vittoriana, deprecando aspramente le libertà dei giovani moderni. Mrs. Fisher ha conosciuto una grande varietà di personaggi illustri dell'arte e della letteratura, e preferisce trincerarsi nei tanti ricordi del passato piuttosto che confrontarsi con un presente secondo lei così vuoto di contenuti. Lady Caroline, infine, è una giovane ereditiera tormentata dalla sua eccezionale bellezza, che non lascia indifferenti né uomini né donne e che non le permette proprio mai di essere lasciata in pace. Anche se tenta di essere scortese, per liberarsi di chi le ronza intorno, i suoi occhi chiari trasformano qualsiasi occhiataccia in uno sguardo dolce, e non importa quanto aspre siano le sue parole: la sua voce melodiosa le trasforma comunque in qualcosa di piacevole, che all'ascoltatore farà venir voglia di farle una carezza rassicurante.

Tutto ha inizio un pomeriggio in un club di Londra, quando Mrs. Wilkins sfogliando un giornale si sofferma a leggere un annuncio con la descrizione del castello medievale di San Salvatore, disponibile in affitto per tutto il mese di aprile. Nell'annuncio il proprietario descrive la bellezza della primavera italiana, la pace e la serenità offerta da quel luogo immerso nel sole e nella natura. Mrs. Wilkins guarda fuori dalla finestra, dove scendono incessanti pioggia e grandine da giorni, ed inizia a fantasticare su quel luogo assolato pieno di fiori e di colori. Non che potrebbe permettersi una vacanza del genere, certo, però sarebbe proprio bello. 
E poi, mentre stava per uscire per andare a comprare il pesce per la cena del marito, vede Mrs. Arbuthnot, anche lei con il giornale aperto e l'aria assorta. Mrs. Wilkins immagina subito che anche quella donna dall'aria stanca stia sognando il castello di San Salvatore e così, con un coraggio impensabile per una timida come lei, si siede al tavolo di Mrs. Arbuthnot ed inizia a parlarle. Convincere Mrs. Arbuthnot - che non l'ha mai vista prima - che sarebbe una buona idea affittare il castello insieme, dividendo le spese, non è un'impresa facile, però pian piano l'ostilità e la schiettezza di una ormai decisa Mrs. Wilkins finiscono poi con l'avere la meglio. Il castello può ospitare fino ad otto persone, così le due mettono a loro volta un annuncio per cercare altre ospiti, e le uniche a rispondere sono Mrs. Fisher - che desidera una vacanza sobria dove poter vagare in pace tra i suoi ricordi - e Lady Caroline, la quale non vuole altro che stare lontana da chiunque la conosca, e riflettere su cos'è stata la sua vita fino a quel momento.

Il resto è... beh, Elizabeth von Arnim. Quest'anno vi ho già parlato di lei, recensendo brevemente Il giardino di Elizabeth qui. Purtroppo quella volta era già trascorso un po' di tempo tra la lettura e la scrittura del post, ed avendo finito col fare una carrellata di brevi commenti a diversi titoli, non ho dedicato a quel libro ed alla autrice tutto lo spazio che avevo inizialmente pensato. Sì, perché già in quell'occasione avevo subito capito di trovarmi davanti ad una penna straordinaria, tenuta in mano da una donna molto intelligente e particolarmente acuta, di quelle in grado di scandagliare la realtà circostante armate di sana ironia. Il giardino di Elizabeth è un diario in larga parte autobiografico, ed ero molto curiosa di vedere come sarebbe stata la sua prosa dispiegata in un romanzo. Dire che la prova è superata è quanto mai riduttivo, perché ho adorato Un incantevole aprile per tanti motivi, soprattutto per il suo essere un romanzo estremamente leggero e piacevole senza per questo essere frivolo. Le descrizioni, sia dei luoghi che dei personaggi, sono attente e ben fatte e l'incrocio di personalità tanto diverse fa sì che durante la lettura non si fa altro che chiedersi "ed ora cosa succederà?!" fino all'ultima pagina, anche se non ci troveremo davanti grandi colpi di scena (o forse sì) ma le piccole situazioni di una quotidianità di vacanza.

Elizabeth von Arnim
Dall'introduzione di Cathleen Schine  ho appreso che la von Arnim scrisse questo libro dopo aver pubblicato Vera, un romanzo molto cupo in cui esamina i terribili effetti dell'amore tirannico sulla vita e sull'emotività della donna, ispirato alla sua esperienza personale con il suo secondo marito, John Francis Stanley Russell, fratello maggiore del filosofo Bertrand Russell. Era lei per prima, quindi, ad avere un grande bisogno di evasione, e di scrivere qualcosa che fosse puro, luminoso, allegro e non è un caso poi, forse, se in fondo nella sua semplicità Un incantevole aprile sia anche una storia che parla della riscoperta di sé e della ricerca di amore, perché in fondo è questa la ragione per cui le quattro donne fuggono dalle proprie vite monotone e soffocanti: ritrovarsi, riscoprirsi e far rifiorire i propri sentimenti. Ed affronta questi temi importanti con leggerezza, con allegria, con un tocco che inevitabilmente fa pensare ai micro-cosmi di Jane Austen.

Elizabeth von Arnim è un'autrice incredibilmente interessante, che fu intrecciata a tantissime personalità di spicco della sua epoca. Basta ricordare che era la cugina di Kathreine Mansfield, che tra i precettori dei suoi cinque figli ci furono E.M. Forster e Hugh Walpole e che tra un matrimonio e l'altro fu l'amante di H.G. Wells.

Se non l'avete ancora fatto, non posso che consigliarvi di dare una chance a questa autrice. Io dovrò sicuramente procurarmi, nel prossimo mese, La fattoria dei gelsomini già edito da Fazi Editore, che ha una trama che già mi lascia pregustare enormi soddisfazioni; poi non mi resta che sperare che la Fazi continui a pubblicare l'opera omnia di questa fantastica autrice.

giovedì 19 aprile 2018

Una stanza tutta per sé, Virginia Woolf

Titolo originale: A Room of One's Own
Anno di pubblicazione: 1928
Autrice: Virginia Woolf
Traduzione: Maria Antonietta Saracino
Editore: Einaudi
Pagine: 233
Note: questa edizione Einaudi 
presenta il testo inglese a fronte
Prezzo: non posso controllarlo,
è stato un regalo!
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Quando leggo qualcosa di Virginia Woolf, specialmente se si tratta di testi che riflettono in maniera diretta le sue idee e le sue riflessioni - come in questo caso, visto che A Room of One's Own è frutto di due conferenze che l'autrice tenne presso alcune Università femminili sul tema Le donne e il romanzo - ha su di me un effetto che fatico a spiegare con le parole. Il mio cervello entra in un fermento senza eguali, il mio corpo viene attraversato da un'energia che mi percorre dalla testa ai piedi nella ricerca quasi disperata di trovare una via di sfogo. Un'energia fisica che è in realtà un'energia tutta ed esclusivamente mentale, che mi farebbe correre alla scrivania per prendere un foglio ed una penna ed iniziare a lavorare a qualcosa di significativo, qualunque cosa, purché sia costruito d'intelletto e di parole. Virginia Woolf, come nessun altra autrice né autore - uomo donna vivo o morta - sa gettare in me minuscoli semi, che io sento il dovere e la responsabilità di far germogliare. E' un dono prezioso quello che ricevo da questa donna brillante ed arguta come poche, ed il minimo che potrei fare per ricambiarla è prendermi cura di quei vivaci quanto delicati semini. Curarli giorno dopo giorno, facendo del mio meglio per farli crescere sani e rigogliosi. Tutto molto bello, direte voi; ma poi, lo faccio davvero?

La triste risposta, al momento, purtroppo è no. Ed è no perché è facile dimenticarsi di quei semini, che per un po' saltellano e scoppiettano, ma poi - privi di nutrimento ed energie - si afflosciano in silenzio. Tanti sono i doveri quotidiani che si presumono importanti. Sedersi alla scrivania e scrivere, per chissà quale scopo, sembra un inutile perdita di tempo. 
Se vuole scrivere romanzi una donna deve avere del denaro e una stanza tutta per sé.
Questo è l'assunto fondamentale dal quale parte l'autrice per sviluppare la sua riflessione su Le donne e il romanzo. A primo impatto, può sembrare un'affermazione vagamente frivola, un po' superficiale; ma se proseguite la lettura ed arrivate sino in fondo, capirete quanta libertà e quante possibilità offra l'essere in possesso di questi due elementi.

 La Woolf, inevitabilmente, sviluppa il discorso intrecciandolo alla contrapposizione dei sessi, uomo/donna, da un punto di vista storico, economico, mentale, letterario: la sua posizione non appare come quella di un'intrepida femminista, che rivendica la parità dei sessi o afferma la superiorità della propria categoria. La sua analisi su una questione ancor oggi tanto delicata, è quella lucida, oggettiva, intelligente che può esser sviluppata soltanto dalla mente di un'acuta osservatrice come lei. Vi riporto un esempio, tra i miei preferiti di tutto il libro:
Ma è ovvio che i valori delle donne molto spesso differiscono da quelli che sono stati inventati dall'altro sesso; è naturale che sia così. Eppure sono i valori maschili a prevalere. Parlando grossolanamente, il calcio e lo sport sono "importanti"; il culto della moda, acquistare vestiti sono "frivolezze". E questi valori, inevitabilmente, trasmigrano nella narrativa. Ecco un libro importante, pensa il critico, perché parla di guerra. Quest'altro invece è un libro insignificante perché ha a che fare con i sentimenti delle donne in un salotto.
Un altro tra i tanti elementi che mi fanno apprezzare immensamente questo testo, è l'approfondita analisi che Virginia Woolf fa, in diversi momenti talvolta anche separati, delle Grandi Narratrici, ovvero Jane Austen, Charlotte ed Emily Brontë e George Eliot. In particolare, seguendo le sue argomentazioni, ho compreso un motivo in più per il quale amo così profondamente l'opera omnia della Austen, e mi ha permesso di definire come mai sono rimasta così tiepida nei confronti di Charlotte e della sua Jane Eyre (unica sua opera che ho letto, al momento). Ma di questo non proverò affatto a darvi delucidazioni, solamente Virginia Woolf poteva spiegarlo in maniera così chiara ed esaustiva, perciò se siete curiosi non mi resta che consigliarvi la lettura di Una stanza tutta per sé.

Non credo di esagerare, se affermo che a lettura conclusa A Room of One's Own si sia imposto subito come uno dei miei libri preferiti, scalando a grandi passi la vetta della classifica dei libri per me fondamentali. Perché Virginia Woolf mi ha parlato in maniera schietta - potevo sentire le intonazioni che prendeva la sua voce, potevo vederla gesticolare - ha toccato tasti deboli, mi ha lasciato una guida ricca di preziosissimi consigli e questo libro è per me un monito ed un piccolo sostegno. Penserò senz'altro a lei, quando avrò del denaro ed una stanza tutta per me.




martedì 17 aprile 2018

Fahrenheit 451, Ray Bradbury

Giuro, non farò manfrine sul tempo già trascorso tra l'ultimo post e questo qui. Alla fine la verità è che è colpa delle stelle: sono del segno dei gemelli, e ciò fa di me una personcina incostante perché sin troppo curiosa, entusiasta verso i più disparati rami di realtà. Detto ciò, già da diverso tempo ho concluso la lettura di un libro che non mi pare giusto lasciare in ombra, trattandosi di un celebre classico moderno come Fahrenheit 451 del signor Ray Bradbury.

Non so bene il perché, ma nella mia testa - anche se sono ben consapevole che non centrano nulla l'uno con l'altro - ho sempre associato Fahrenheit 451 Il buio oltre la siepe, letto e discusso ormai due anni fa (ma perché il tempo scorre così in fretta, perché!). Credo che la ragione di questo collegamento abbastanza inopportuno dipenda dal fatto che nella mia testa questi due titoli rappresentavano i massimi esempi di classici moderni della letteratura americana, cosa probabilmente vera, anche se non potrebbero essere più diversi per genere, trama, stile e struttura. Molto meno importante, i due titoli sono lontanissimi anche per quanto riguarda il mio gradimento personale: Il buio oltre la siepe resterà uno dei libri della vita, Fahrenheit... boh.

Fahrenheit 451 è una distopia, pubblicata per la prima volta agli inizi degli anni Cinquanta. L'intuizione di Bradbury è geniale: crea un ipotetico futuro dove, come vuole il genere cui il libro appartiene, le persone fanno parte di una società controllata, dove ogni forma di pensiero critico o soggettività è completamente annullata. Oltre a questo, Bradbury inserisce in questo quadro il peggior incubo di ogni appassionato lettore, studioso, amante della parola scritta: i libri sono severamente vietati, chi ne possiede viene considerato un sovversivo e prontamente viene appiccato il fuoco sulla sua abitazione. In un riuscitissimo ribaltamento delle parti gli addetti ad appiccare il fuoco sono i pompieri. Il protagonista che ci guida attraverso questa tristissima realtà è proprio uno di loro, Guy Montag, un pompiere fatto e finito che, una briciola alla volta, prende coscienza dell'oscurità dei suoi tempi e tenta nel suo piccolo di fare qualcosa per squarciare il velo che ricopre la sua città.

Dunque, devo dire che da questo breve romanzo mi aspettavo molto di più. Sarà per la sua fama, per quanto e come ne ho sempre sentito parlare, ma mi aspettavo davvero uno di quei libri che ti spaccano la testa in due, ci riversano dentro un sacco di cose che ti sconvolgono ed a lettura conclusa non sei più lo stesso di prima. Devo dire che questo fenomeno è avvenuto in piccolissima parte, e tutta concentrata nella prima metà del libro, che considero senz'altro la migliore. Capire il tipo di società che Bradbury ha costruito, e vedere pagina dopo pagina quanto lontana si è spinta l'ignoranza e la cecità delle persone, fa un effetto immancabilmente nauseante sul lettore, che difficilmente non resterà indignato dal riconoscere - ahimè - moltissimi aspetti di quella che è diventata la nostra quotidianità.

Ci sono parti che ho sottolineato, ci sono momenti in cui ci si ferma a riflettere o ci si sente come davanti ad una ineluttabile verità; tuttavia non sono entrata in forte empatia col protagonista, ed ho fatto un po' fatica a seguire con partecipazione la sua avventura dal momento in cui diventa un sovversivo ed un ricercato. Una cosa che mi è dispiaciuta parecchio, inoltre, è che un personaggio poetico come Clarissa compaia così poco, e sia alla fine puramente strumentale per ingranare la trama. Avrei apprezzato molto di più se l'autore ci avesse permesso di conoscerla meglio, di seguire da più vicino i suoi colloqui con Montag e, soprattutto, di scoprire con chiarezza dove sia finita.

Tuttavia, ciò che ci tengo a riconoscere a quello che viene considerato il capolavoro di Ray Bradbury, è la semplicità con cui è scritto, il linguaggio tanto accessibile da poter catturare sia i ragazzi che si stanno appena avvicinando alla lettura, sia a mio avviso un non-lettore. Lo trovo un romanzo fruibile veramente da tutti, e tale semplicità estrema può forse andare a discapito dell'opera quando incontra una lettrice rompiscatole come me che ad un libro chiede di più, ma ha per l'appunto il grande pregio di poter appassionare un pubblico forse più vasto.

L'avessi letto da giovanissima, forse l'avrei apprezzato senza riserve, e sono comunque felice che i professori di letteratura nei licei scelgano di consigliarlo. Sia mai che, tra un musical.ly ed uno snapchat qualche ragazzino/a si fermi a fare un ragionamento un attimo più complesso. 

Anna Karénina, Lev Tolstòj

Anna Karénina , Lev Tolstòj, Russia 1875-77 – ma anche qualsiasi altro luogo e tempo dacché esistono l’uomo e la donna. Il commento al rom...