sabato 23 maggio 2020

Nausicaä della Valle del Vento (1984)

Il mondo ha raggiunto il suo apice industriale, ma invece di essere soddisfatto di quanto raggiunto l'essere umano, probabilmente incapace di accontentarsi, ha distrutto tutto. Una distruzione culminata in una guerra che viene ricordata come I sette giorni di fuoco.

Mille anni dopo, lo scenario offerto dal Pianeta Terra è quello di una desolazione post-apocalittica o post-nucleare, la frattura tra uomo e natura sembra definitiva, poiché quest'ultima è stata ridotta ad un elemento letale in tutte le sue forme: l'acqua è ormai riassunta dal Mar Marcio che minaccia le sponde, e c'è una foresta tossica dove l'aria non è respirabile - avventurandocisi dentro senza i caschi dell'ossigeno, simili a quelli degli astronauti, si può avere quasi la certezza di contrarre una malattia letale. Aria ed acqua, quindi, un tempo associate alla purezza, sono stati a tal punto contaminati dalle scellerate azioni dell'uomo da essersi trasformate in qualcosa capace di ucciderlo.

Un posto dove la vita ha in qualche modo resistito a tanto grigiore è la Valle del Vento, un posto pacifico, minacciato però dal popolo di Tolmechia che persegue un pericoloso obiettivo, quello di risvegliare l'ultimo Soldato Titano. La Valle del Vento sarà guidata e protetta dalla giovane e valorosa principessa Nausicaa.


Nausicaa della Valle del Vento nasce nel 1982 come manga, scritto e disegnato dal maestro Hayao Miyazaki. Ne fece successivamente un film, il secondo della sua produzione, che uscì nelle sale cinematografiche giapponesi l'11 marzo del 1984. Benché il film sia antecedente alla fondazione dello Studio Ghibli, nato il 15 giugno del 1985, Nausicaa della Valle del Vento è stato comunque riconosciuto come il primo film della casa d'animazione, perché in esso sono presenti le tematiche che negli anni sarebbero diventate distintive della poetica del regista, prima fra tutti l'ecologia ed il rapporto tra uomo e natura, un argomento raccontato con tanta forza dalle vicende della Valle da conquistare il sigillo del WWF, che compare all'inizio del film, definito un racconto di fantascienza ecologica.

Come sempre, Miyazaki si serve della sua fervida immaginazione partendo però da qualche spunto reale, forse per toccare più da vicino lo spettatore, per comunicargli che oltre il fantastico che sta vedendo nello schermo, fatto di disegni incantevoli ed avventure avvincenti, c'è qualcosa che lo riguarda da più vicino di quanto possa credere, e che proprio per questo dovrebbe ascoltare con attenzione cosa sta cercando di dirci.

In questo caso, il Mar Marcio si ispira ad una catastrofe ambientale realmente accaduta in Giappone nel 1956, ed in particolare ad un inquinamento di mercurio che interessò il golfo di Minamata, nella prefettura di Kumamoto, causata da un'industria chimica. Benché sia un fatto oggi poco conosciuto e ricordato, fu un avvenimento gravissimo: i pesci ed i crostacei di quelle zone continuarono a far parte della catena alimentare di uomini ed animali, causando l'avvelenamento di chi li ingeriva. I decessi causati da tale avvelenamento continuarono a verificarsi per ben trent'anni. L'avvelenamento da mercurio porta ad una sindrome neurologica dai molteplici sintomi, che fin dal '56 venne chiamata la malattia di Minamata.

Di ispirazione personale, e sicuramente più piacevole, è un altra componente largamente diffusa in tutta la sua produzione e particolarmente importante in Nausicaa: il volo. Miyazaki ha la passione del volo fin da quando era bambino, e ciò è facile da intuire contemplando le grandi quantità di velivoli, più o meno fantasiosi, che attraversano i fantastici cieli dei suoi film. In Nausicaa rincara la dose della sua fascinazione per la possibilità di volare, facendo della protagonista una persona che comunica col Sommo Vento, il quale la protegge e grazie al quale lei è in grado di percepire cosa accade nell'ambiente che la circonda.


E veniamo a lei, Nausicaa, cuore pulsante di questo lungometraggio. In questa principessa giovane troviamo riassunte le caratteristiche della tipica eroina di Miyazaki: è una ragazza indipendente e coraggiosa, gentile ed altruista, vicina alla natura e per nulla materialista; d'altro canto è profondamente umana nel suo risentimento nei confronti del popolo di Tolmechia, un odio che però riesce a tenere sotto controllo e qualora le capiti di commettere degli errori saprà trovare il modo di porvi rimedio.

Nausicaa fa onore alle figure femminili da cui nasce, in un altissimo incontro tra Oriente ed Occidente: da una parte abbiamo infatti la Nausicaa principessa dei Feaci dell'Odissea omerica, dall'altro troviamo La principessa che amava gli insetti, particolarissima fiaba giapponese del XII secolo.

Miyazaki affida ad un'eroina femminile l'arduo compito di tentare una riconciliazione tra uomo e natura con l'idea che solo una donna può avere la sensibilità di ascoltare e comprendere, visto che il sesso maschile si è sino a quel punto dimostrato continuamente assetato ed accecato dalla sete del potere. Nella Valle del Vento si tramanda la leggenda di un cavaliere vestito di blu che salverà l'umanità... ma sarà davvero un cavaliere a riuscirci?


Personalmente, ci sono due cose che amo molto di Nausicaa. La prima sono indubbiamente i disegni, fatti e colorati a mano come molti dei film Ghibli più vecchi (il primo ad avere un contributo di grafica digitale è stato La principessa Mononoke). Le immagini hanno per questo un'atmosfera unica, che si respira sin dal primo fotogramma assaporando la particolarità rispetto ad opere più recenti.

La seconda, è una scena in particolare. Quando Nausicaa incontra per la prima volta quello che poi diventerà il suo fido animaletto, quell'esserino giallo e tigrato, con un corpicino piccolo ma lunghe orecchie ed una lunga coda, l'animaletto si mostra diffidente ed aggressivo nei suoi confronti ma lei resta calma e continua a parlargli con dolcezza, non cambiando atteggiamento nemmeno quando lui le morde un dito. Nausicaa capisce subito che l'animale si comporta così perché è spaventato e che ha solo bisogno di essere rassicurato. Di lì a poco, infatti, lui le salirà in spalla e non la abbandonerà mai più.

Ho sempre amato molto gli animali ed essendo cresciuta e vivendo tutt'ora in campagna sono abituata a vedere di tutto, compresi topi, serpenti e cinghiali e nessuno mi suscita paura e disgusto. La realtà è che nessun animale ci attaccherebbe o farebbe del male se non ha motivo di farlo, e mi dispiace che siano ancora così tante le persone che si ostinano a non volerlo capire. L'incontro tra Nausicaa e l'animaletto giallo mi ha toccata da vicino, perché in pochi minuti insegna quanto basterebbe imparare per capire e rispettare gli animali. E' la scena in cui secondo me viene racchiuso uno dei messaggi più importanti di Nausicaa: non avere paura di ciò che non conosci, prova piuttosto a comprenderlo.

Avete già visto questo film? Cosa ne pensate?
Spero di avervi raccontato qualcosa di nuovo o, eventualmente, avervi invogliato a recuperare l'opera.


mercoledì 20 maggio 2020

Tess dei d'Urberville, Thomas Hardy

La primissima recensione che portai su questo blog, cinque anni fa, riguardava Via dalla pazza folla di Thomas Hardy, autore cui mi approcciavo allora per la prima volta ed a cui sono tornata solo questo mese - un po' perché avevo provato un'inusitata antipatia per la protagonista di quel romanzo, e temevo di incontrare nelle sue opere un'altra donna simile; un po' per il flusso casuale che mi muove nelle mie scelte libresche. Qualora decidiate di buttare un'occhio su quel vecchio post, infatti, potrete constatare come mi fossi innamorata della prosa dell'autore, soprattutto per la sua capacità di rendere viva e visibile la natura, ma come il fastidio verso Bathsheba Everdene avesse reso difficile l'apprezzamento totale dell'opera. Cosa che invece, con mio grande piacere, è accaduta molto facilmente con Tess dei d'Urberville, un romanzo che non si può definire meno di un capolavoro, uno di quelli che quando mi accingo a scriverne vengo presa dall'insicurezza, che si palesa sotto forma di domanda: cosa mai potrò dirne, io, che non sia già stato detto prima e meglio? Forse niente, ma io per prima quando lessi Via dalla pazza folla non sapevo nulla di Hardy.

Non sapevo, ad esempio, che ci mise del tempo per far della scrittura il suo mestiere, perché terminate le scuole a sedici anni, piuttosto che iscriverlo all'università i genitori preferirono che imparasse una professione, e lo affidarono come apprendista ad un architetto. L'architettura divenne per Hardy una sorta di sentiero obbligato e pur perseverando nell'apprendistato ed intraprendendo la carriera che era stata scelta per lui non vi si appassionò mai, e non appena gli fu possibile conciliare le due cose diede inizio alla sua carriera letteraria. Hardy è uno scrittore, ed un romanziere, che possiamo senz'altro definire atipico, soprattutto considerando l'epoca e la stagione letteraria in cui visse e scrisse. Il suo lavoro infatti s'inserisce a pieno titolo nell'epoca vittoriana, che come ogni amante della classicità inglese ben sa ci ha lasciato in eredità una buona fetta dei migliori romanzi di sempre. Le sorelle Bronte, Dickens, Collins, Thackeray, George Eliot, Elisabeth Gaskell, Trollope - è lunga la lista di autori illustri che hanno segnato la letteratura inglese di quel tempo, e pur avendo ognuno un suo stile, sue caratteristiche riconoscibili ed inimitabili, le loro penne sono in qualche modo legate da quella che potremmo definire un'atmosfera, un senso comune di fondo che deriva probabilmente dall'uso della stessa lingua madre e dalla condivisione delle radici britanniche. Hardy non fa eccezione in questo, eppure ho la sensazione che la materia narrativa da lui scelta si discosti da quella dei colleghi, e mi colpisce il suo aver fatto parte di una letteratura così fervida, restandoci in qualche modo in costante conflitto

 Thomas Hardy, 1840-1928


Arrivò infatti un momento in cui la sua carriera letteraria cominciava ad andar così bene da permettergli di lasciare definitivamente l'attività di architetto. E quando poté a tutti gli effetti definirsi uno scrittore, la sua sensazione fu quella di essere ora legato alla necessità di scrivere romanzi così come era stato costretto agli orari ed agli impegni da architetto. La prima vocazione di Hardy, quando ancora era studente, era stata la poesia ed è significativo - considerato tutto questo - che negli ultimi anni della sua attività egli smise completamente di scrivere romanzi, e si dedicò alla scrittura in versi. La critica parla per questo di due momenti nettamente distinti nella produzione di Hardy, quello in prosa e quello poetico, quando in realtà egli non aveva mai smesso di coltivare in primo luogo la propria vocazione poetica. Hardy, del resto, non fu uno scrittore particolarmente compreso dalla critica e dal pubblico del suo tempo: le sue opere furono spesso accolte con freddezza, se non con aperta ostilità, un risultato che il più delle volte l'autore non si aspettava, e che lo lasciava deluso ed amareggiato. E' probabile che la ragione di questa incrinatura tra Hardy ed il suo tempo stia nel suo essere essenzialmente uno scrittore della transizione, e ciò si nota in particolar modo mettendo a confronto la prima e l'ultima delle sue opere: in Estremi rimedi (1871) addirittura cercò di emulare a modo suo la sensation novel di Wilkie Collins, che tanto successo riscuoteva nel pubblico, mentre in Jude l'Oscuro (1895) anticipa il romanzo del Novecento. Egli è, quindi, l'ultimo dei grandi vittoriani. 

Avete presente la teoria dell'effetto farfalla? Quella teoria secondo cui, un semplice battito d'ali di una farfalla in un punto qualunque della Terra, può causare stravolgimenti dall'altra parte del globo. La scena iniziale di Tess dei d'Urberville (1891) ha un po' il sapore di questa teoria, poiché tutto comincia con una scena che poteva non avere alcuna conseguenza: un prete, che lungo una strada di campagna di sera incrocia un povero carrettiere di mezza età. Il prete, che è appassionato di storia, non si trattiene dal rivelargli una sua recente scoperta, ossia che quell'uomo povero in canna discende in realtà da una delle più antiche ed un tempo ricche famiglie della contea, ormai decaduta, i d'Urberville, di cui il suo cognome - Durbeyfield - ne è un'evidente storpiatura. E' da questa banalità che hanno inizio, quasi ad effetto domino, gli eventi che segneranno il destino di Tess, rendendolo sempre più diverso da quello che avrebbe potuto essere.

Trattandosi di un classico molto popolare, anche di questi tempi a quanto pare dalla comunità web dei lettori, raccontare oltre della trama mi pare superfluo. Più interessante, forse, è approfondire alcuni di quelli che secondo me sono i temi centrali dell'opera. La tragica storia di Tess fa riflettere il lettore su due nodi fondamentali:

  • l'ancestrale senso di colpa della donna. Ha cominciato Eva, ed ogni donna che calpesterà questo mondo se ne porterà dietro le conseguenze. Tess, che è una ragazza buona, ingenua e volenterosa, si porta dentro fin da quando la conosciamo il peso di colpe che non possiede. I genitori sono due sprovveduti, sfaticati ed irresponsabili, cosa che però lei non vede o non vuole riconoscere ed invece di essere arrabbiata o amareggiata per l'esser figlia di due simili soggetti si sobbarca senza nessuna lamentela le responsabilità che spetterebbero agli adulti. E quando il loro unico cavallo, indispensabile al loro sostentamento, viene perduto per un incidente di cui subito Tess si sente colpevole, il suo senso di colpa comincia ad emergere chiaramente, facendola sentire in dovere di accettare ogni richiesta avanzata dai genitori per ripagarli di quella grave perdita da lei causata. Quando poi sarà vittima - e sottolineo vittima - dell'evento che segnerà la sua vita, il senso di colpa si gonfia a dismisura e non se ne andrà mai più. Quest'ombra che la accompagna si incontra per tutto il romanzo, in scene strazianti come quando durante un lungo e stancante viaggio a piedi viene importunata a parole da uno sconosciuto e lei, dopo averlo seminato, si fascia la testa in un fazzoletto e si strappa le sopracciglia per imbruttirsi, come se la sua bellezza fosse qualcosa per cui merita di punirsi. Quello di Tess è un sentimento dolorosissimo a leggersi, ma ancor più doloroso è pensare che da questo punto di vista Hardy abbia scritto un romanzo incredibilmente attuale, perché credo che troppe donne ancora oggi siano vittime di questo tipo di pensieri, inculcati da mentalità tossiche e retrograde o da brutte esperienze mai elaborate.
  • Il sacrificio di sé come reazione. Allo stesso tempo, o conseguentemente a questo, ho letto in quest'opera un messaggio molto chiaro, ossia la dimostrazione che l'arrendevolezza, la sottomissione, la totale abnegazione non rappresentino affatto una via per la redenzione. Tess, infatti, ha uno spirito di sacrificio ed una forza di volontà a dir poco notevoli. Non si piange mai addosso, né si ribella contro ciò che le accade o chi la fa soffrire. La sua risposta ai problemi ed alle sfide che una dopo l'altra si presentano sul suo percorso è quella di chiudere la bocca e rimboccarsi le maniche, convinta che non chiedendo mai niente a nessuno, restando il più possibile al suo posto (o quello che lei considera tale) e dandosi da fare, dimostrerà il proprio valore, e riuscirà a farsi perdonare - per quelle colpe che non ha - ed infine amare. Tutto, nella sua vicenda, dimostra che non sia così e di come invece avrebbe avuto forse qualche chance in più se si fosse rinnegata meno e se avesse avuto qualche pretesa in più. Se si fosse amata un po', e se pensando di avere un valore, dei diritti, una dignità non si fosse consegnata ad un destino tanto crudele. 


Tess dei d'Urberville, almeno a mio giudizio, è nettamente superiore a Via dalla pazza folla, col quale comunque condivide quella potenza descrittiva senza pari. Ci sarebbe ancora molto altro da dire, parlando ad esempio del famoso Wessex, ambientazione rurale immaginaria nella quale sono ambientate tutte le opere hardiane. Tess dei d'Urberville è un romanzo imperdibile per gli amanti della letteratura classica, una storia tragica e potentissima che mi ha fatta soffrire come da tempo non mi accadeva leggendo un romanzo. Da tenere quindi per un momento in cui ci si sente pronti, ma decisamente da non trascurare.

Vi segnalo inoltre, anche se non l'ho ancora visto, che nel 2008 ne è stato tratto un film con Eddie Redmayne nel ruolo di Angel Clare. Ho sempre del timore nel guardare un film tratto da un libro molto amato, ma la presenza di questo talentuosissimo attore è un motivo sufficiente per rischiare.

sabato 9 maggio 2020

La città incantata, Hayao Miyazaki (2001)

Buon sabato a tutti, benvenuti o bentornati sul blog!
Oggi vi accolgo col secondo appuntamento dedicato alla mia umile rubrica per scoprire o riscoprire i meravigliosi film d'animazione dello Studio Ghibli. Insieme al mio compagno, ne stiamo vedendo uno ogni venerdì sera, ed in realtà avevo deciso già dalla scorsa settimana di pubblicare il relativo post un sabato ogni due settimane. Questo sia per non rendere monotematico il blog, sia per darmi più tempo per scrivere qualcosa che valga la pena leggere (che poi io mi riduca lo stesso a lavorarci all'ultimo, è un altro discorso). Bando alle ciance, oggi vi racconto qualcosa su La città incantata.

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Ottavo film del maestro Hayao Miyazaki, esce nelle sale cinematografiche in Giappone nel 2001. Ispirato ad un racconto per bambini pubblicato nel 1987 di Kashiwaba Sachiko, intitolato Il meraviglioso paese oltre la nebbia, il film racconta l'avventura di Chihiro, una bambina di dieci anni che sta traslocando assieme ai genitori. Durante il viaggio in automobile per raggiungere la nuova abitazione, la famiglia giunge in un luogo particolare, che credono essere la loro destinazione. Nonostante il posto appaia desolato e disabitato e nonostante le proteste della bimba che quasi presagendo un pericolo non vuole andare, scendono dall'auto e si incamminano lungo il tunnel che si erano trovati davanti alla fine della strada percorsa. Dall'altro lato trovano un bel paesaggio, e poi quello che sembra a tutti gli effetti un parco divertimenti abbandonato. I genitori iniziano ad esplorare il luogo, trascinandosi dietro la piccola Chihiro, fin quando non si imbattono in un vero e proprio banchetto di cibo squisito e appena cucinato. I genitori, come improvvisamente non più padroni di sé, cominciano a servirsi, continuando a riempirsi i piatti più di quanto chiunque potrebbe mai riuscire a mangiare. Chihiro non tocca nulla, nonostante più volte la mamma ed il papà invitino anche lei ad assaggiare quelle prelibatezze, ed anzi cerca in tutti i modi di farli smettere di abbuffarsi. Ma non c'è verso, ed i genitori di Chihiro, a forza di ingozzarsi, si trasformano in due grandi maiali. Sconvolta, Chihiro si allontana e viene intercettata da Haku, un ragazzo suo coetaneo che la prende sotto la sua ala e la istruisce sul luogo dove è capitata, su come sopravvivervi e cosa fare.

Appena scende la notte, infatti, il luogo si anima, svelando la sua vera natura: si tratta di bagni termali per divinità e spiriti, un luogo pieno di dipendenti ed addetti ai lavori dove non ci si ferma mai e dove, per poter restare e non soccombere, il requisito numero uno è proprio avere un contratto di lavoro. A tal fine, Haku indica a Chihiro la strada per raggiungere Kamaji, un anziano operaio rappresentato da un ragno antropomorfo, le cui tante braccia non smettono neanche per un secondo di muovere la macchina di cui è l'unico addetto. Pur prestandole poca attenzione, Kamaji affida Chihiro a Lin, una ragazza addetta alla pulizia delle vasche delle terme, che per pura gentilezza verso Kamaji decide di aiutare la piccola sconosciuta. Per ottenere un contratto di lavoro, bisogna vedersela con la persona a capo dell'intricato meccanismo che governa i bagni, ossia la potentissima maga Yubaba. Anche se non sarà facile, insistendo come Haku le aveva detto di fare, Chihiro otterrà il suo contratto, e la regola numero due per ogni dipendente è cambiare il proprio nome, così Chihiro diventerà Sen.

Da questo momento in poi, lo spettatore segue le avventure di Chihiro/Sen come dipendente dei bagni termali per spiriti e divinità, dove dovrà affrontare molte prove, dove incontrerà tanti personaggi più e meno innocui, dove si farà degli amici e dove soprattutto vivrà esperienze capaci di farla crescere. Come sempre, i film di Miyazaki sono colmi di preziosi insegnamenti e di significati.


I dipendenti dei bagni termali

Oltre al racconto di Kashiwaba Sachiko cui si ispira, La città incantata nasce anche da una suggestione infantile. Miyazaki ha infatti raccontato di avere molti ricordi di quando era piccolo di bagni termali come quelli del film, chiamati yuya in giapponese, e che in particolare una volta nell'area di ingresso di uno di questi vide una porticina piccola piccola. Per giorni e per notti fantasticò su cosa poteva nascondersi dietro di essa, sul dove quella porticina avrebbe mai potuto portare. La città incantata indaga allora quel mistero d'infanzia, arricchito dalla presenza di spiriti e divinità che nella cultura giapponese sono presenti un po' in tutto, negli elementi naturali ma anche nelle case. Per rappresentarli nelle loro fattezze esteriori Miyazaki ha seguito soltanto la propria immaginazione, salvo qualche dettaglio attinto dalla tradizione folcloristica. Ecco quindi che Yubaba ricorda le Yamauba, temibili streghe delle montagne, che le fattezze di Kamaji ricordano tanto quelle di un ragno, ritenuto un simbolo di operosità e che il viso dello spettro Senza Volto ricorda tanto le maschere del teatro No, forma teatrale giapponese nata nel XIV secolo. Questo però è l'unico legame di Senza Volto con la tradizione, perché per il resto egli rappresenta il Giappone contemporaneo (ma potremmo dire anche il mondo, contemporaneo), dove molti pensano che la ricchezza possa comprare la felicità. Senza Volto, confondendo la gentilezza con l'elargire beni materiali per essere considerato ed apprezzato dagli altri, distribuisce oro a destra e a manca, ma riesce così a rendere felici i beneficiari dei suoi doni?

In un'intervista Miyazaki disse anche che La città incantata è un'emblema dello Studio Ghibli, dove Yubaba rappresenta il presidente della Ghibli, egli (Miyazaki stesso) si rivede in Kamaji, che ha così tanto lavoro che neanche le sue tante braccia riescono a stargli dietro, e Chihiro potrebbe incarnare una giovane e talentuosa disegnatrice appena arrivata che deve fare del suo meglio e darsi sempre da fare per non essere cacciata da Yubaba, vale a dire se non vuole essere licenziata.

Secondo queste dinamiche, La città incantata rappresenta in generale il moderno mondo del lavoro, dove Yubaba incarna la ferocia del capitalismo, che vede ogni cosa - tranne il suo sproporzionato e viziatissimo neonato Bo - secondo la logica di perdita e guadagno. I tanti dipendenti sono ormai assuefatti al lavoro e sembrano non pensare ad altro, e diventa oltremodo significativa in quest'ottica la questione del nome: il fatto che una volta assunti i dipendenti debbano assumere un nuovo nome, sembra suggerire la perdita di identità quando si è solo un numero tra tanti, come accade nelle grandi aziende, ed al contempo l'importanza di ricordare le proprie radici, perché quando ci dimentichiamo delle nostre radici diventa molto più facile impadronirsi di noi per qualcuno che desidera manipolarci. Haku infatti raccomanda a Chihiro/Sen di non dimenticare mai il proprio vero nome, come è accaduto a lui, perché insieme ad esso spariranno anche tutti i suoi ricordi.


Haku, e l''importanza di ricordare le proprie origini


Un'altra riflessione che ci offre Miyazaki sul mondo del lavoro è quella data dal contrasto tra Yubaba e la sua gemella Zeniba, la sua gemella buona verrebbe da dire, anche se più che gemelle paiono i due volti di una stessa persona. Ed in effetti, sotto un certo punto di vista è proprio così: Yubaba rappresenta la persona immersa fino al collo nel mondo del lavoro, mentre Zeniba rappresenta la pacifica vita domestica, e lo vediamo soprattutto quando Chihiro e Senza Volto si recano da lei, e trascorrono il tempo con una buona tazza di tè ed aiutandola col cucito. Non si tratta solo di due tipologie di vita contrapposte, ma anche talvolta della scissione che esiste all'interno di un'unica persona, che può essere altamente aggressiva e competitiva sul lavoro, quanto mite e gentile nella vita privata.

Trattandosi poi di Miyazaki, non poteva mancare un messaggio ecologico, e questo avviene quando alle terme si presenta un ospite che pare solo un enorme ammasso di spazzatura e sporcizia, così rivoltante che quasi volevano impedirgli di entrare. Lui però avanza inesorabile, e così lo indirizzano verso la vasca riservata ai casi disperati come quello, affidando l'ospite sgradito all'ultima arrivata, cioè la nostra Chihiro/Sen, la quale comprenderà che l'ospite non è davvero così come si è presentato: da qualche parte, gli si è incastrata addosso niente meno che una bicicletta, che ha ostruito tutto continuando ad accumulare sporcizia. Pian piano, tutti si uniscono a Sen ed unendo le forze riescono a tirar via i cumuli di detriti, liberando quello che si rivela lo spirito di un fiume, che finalmente torna ad essere limpido e felice. Anche questa scena è ispirata alla quotidianità dell'autore, che (almeno all'epoca del film) dava regolarmente una mano a tenere pulito il fiume che scorreva vicino casa sua e dal quale davvero, una volta, lui ed i suoi vicini tirarono fuori una bicicletta che vi si era incagliata. Il fatto che servano gli sforzi di tutti per ripulire lo spirito del fiume, sembra dirci che soltanto con una partecipazione collettiva sarebbe possibile vedere risultati concreti nel mondo che abitiamo.

Chihiro, Senza Volto & Zeniba


Infine, l'ultimo messaggio importante è il tema della crescita. A rappresentarlo abbiamo Chihiro, ma anche la sua controparte personificata da Bo, che incarna proprio l'immaturità. Arrogante e prepotente perché costantemente vezzeggiato e viziato dalla madre Yubaba, anche a lui basterà seguire Chihiro - anche se trasformato in un grasso e stupito topo - nelle sue avventure per scoprire un principio di crescita e di indipendenza. Ma l'evoluzione più significativa è sicuramente quella di Chihiro, e la si nota soprattutto nella differenza tra la scena iniziale e quella finale, entrambe nell'automobile dei genitori: se all'andata Chihiro era annoiata, capricciosa e si lamentava in un modo tipicamente infantile, al ritorno è molto più matura, serena e consapevole di sé, tanto da non preoccuparsi affatto per la nuova vita o l'ingresso in una scuola nuova dopo il trasloco, che erano le cose che prima la preoccupavano. L'esperienza all'interno de La città incanta l'ha cambiata, l'ha fatta crescere e maturare come un vero percorso di formazione.

Una cosa molto bella è che una delle possibili chiavi attraverso cui leggere questo film è quella della gentilezza. Dall'inizio alla fine, infatti, nonostante le difficoltà o nonostante non sempre tutti la accolgano benevolmente, Chihiro è gentile ed educata con tutti, e sarà ripagata da questo suo approccio sincero avendo alla fine tutti i dipendenti dei bagni termali dalla sua parte, sinceramente affezionati.

L'ho trovato un film semplicemente bellissimo, sia visivamente che per tutto il resto - dai temi trattati al modo in cui Miyazaki li ha veicolati. Il mio personaggio preferito, non so nemmeno perché, sarà sempre Senza Volto, che mi ha sia fatta sorridere coi suoi modi ed il suo filo di voce, sia mi ha stretto il cuore in una morsa di tenerezza per la sua solitudine e la ricerca di compagnia, pur non sapendo bene come chiederla. Subito dopo, c'è ovviamente Chihiro, col suo coraggio, la sua gentilezza che non discrimina nessuno e la sua capacità di adattarsi ed affrontare al meglio ciò che le capita lungo il percorso.

La città incantata ha vinto l'Orso d'oro al Festival di Berlino nel 2002 e l'Oscar come miglior film di animazione nel 2003. Se l'avete visto, sarei curiosa di sapere cosa apprezzate di più di questo film così denso di elementi e tematiche, mentre se non lo conoscete ancora spero di avervi invogliato a recuperarlo al più presto!










Anna Karénina, Lev Tolstòj

Anna Karénina , Lev Tolstòj, Russia 1875-77 – ma anche qualsiasi altro luogo e tempo dacché esistono l’uomo e la donna. Il commento al rom...