mercoledì 3 febbraio 2021

Il giardino dei Finzi-Contini / Giorgio Bassani

 Voglio cominciare raccontando una sensazione. Leggendo la prima pagina del primo capitolo del romanzo più noto di Bassani ho provato la stessa sensazione che, appena sedicenne, provai leggendo la prima pagina de La casa degli spiriti di Isabel Allende. Sono cose che si ricordano, perché anche se non hai idea di cosa ti aspetta, bastano quelle poche righe a farti spalancare qualcosa dentro - qualcosa che deve spalancarsi, perché un nuovo mondo - vite, viaggi, voci, cose, ricordi, lontananze e ritorni - sta per caderti dentro. Fin da subito, allora, serve che tu faccia spazio.

La tomba era grande, massiccia, davvero imponente: una specie di tempio tra l'antico e l'orientale, come se ne vedeva nelle scene dell'Aida e del Nabucco in voga nei nostri teatri d'opera fino a pochi anni fa. In qualsiasi altro cimitero, l'attiguo Camposanto Comunale compreso, un sepolcro di tali pretese non avrebbe affatto stupito, ed anzi, confuso nella massa, sarebbe forse passato inosservato. Ma nel nostro era l'unico. E così, sebbene sorgesse assai lontano dal cancello d'ingresso, in fondo a un campo abbandonato dove da oltre mezzo secolo non veniva sepolto più nessuno, faceva spicco, saltava subito agli occhi.

Poco importa che i Trueba ed i Del Valle non c'entrino nulla con i Finzi-Contini, che Bassani e la Allende siano due luoghi così lontani: ai miei occhi un parallelismo esiste ed è dato dalla capacità di far capire al lettore, fin dalla prima riga, che ha tra le mani una storia ad ampio, ampissimo respiro, che comincia da lontano ed ha così tanto da dire, che parlerà di famiglie antichissime la cui storia si intreccia in nodi sottili con la Storia. Quella narrata da Bassani, poi, è un pezzo della nostra Storia, un pezzo triste, oscuro, di cui c'è ben poco d'andar fieri.

Siamo a Ferrara. A condurci per le sue strade è un narratore di cui ignoro il nome e di cui però so tutto il resto. L'ho visto crescere, gli sono stata al centro del garbuglio della sua testa adolescente, giovane adulto l'ho guardato in silenzio dal centro del tumulto dei sentimenti. Per colpa sua ho incontrato Alberto, Micòl, il professor Ermanno, Giampi Malnate che adesso mi mancano tutti da morire.

I Finzi-Contini sono una famiglia aristocratica che vive in una casa maestosa, circondata da un bellissimo giardino. Conducono una vita appartata, gli altri cittadini di Ferrara li rispettano, pur ritenendoli un po' stravaganti. Alberto e Micòl sono i figli del professor Ermanno e della signora Olga, due ragazzi intelligenti e carismatici che però non fanno molta vita sociale. Studiano a casa, ed a scuola si presentano solo alla fine dell'anno per sostenere l'esame da privatisti. Hanno ben poche occasioni d'incontrarsi col nostro narratore - coetaneo di Micòl, Alberto di appena qualche anno più grande - ma in quell'occasionale incrociarsi scatta subitaneo un riconoscimento: riconoscimento che inizia con la consapevolezza di essere ebrei, e di condividere quindi le medesime tradizioni, un retaggio culturale estraneo agli altri ragazzi e ragazze, ma che prosegue poi con un'istintiva sintonia. Siamo negli anni Trenta. Presto piombano su di loro le leggi razziali, la loro vita viene come messa in pausa, posta in dubbio la possibilità di concludere quei percorsi universitari ormai cominciati - il nostro narratore alla facoltà di Lettere di Bologna, Micòl che prova a tradurre Emily Dickinson alla Ca' Foscari di Venezia, Alberto ingegneria a Milano - ed una generale emarginazione che piomba su di loro da un giorno all'altro, senza un reale perché. Sarà proprio questa questa esclusione da tutto il resto, però, a portare il protagonista dentro casa Finzi-Contini - già che sono nella medesima spiacevole situazione, perché non farsi compagnia almeno tra loro - ed è così che egli salderà la propria giovinezza a quella di Micòl e di Alberto, ma anche al professor Ermanno, così interessato ai suoi studi in letteratura, al Giampi, migliore amico di Alberto, col quale i dibattiti accesi sulle questioni del mondo che ogni pomeriggio sfiorano la lite, si trasformeranno in uno speciale sodalizio.

Il giardino dei Finzi-Contini però non è un romanzo incentrato sui fatti terribili di quegli anni, o sulla condizione ebraica. Queste sono tematiche presenti, fanno nel vero senso della parola da contesto - storico, culturale - e Bassani è magistrale nel non farceli dimenticare mai senza renderli per questo il fulcro della narrazione. Perché il fulcro è il diventare grandi, è il primo devastante amore, è l'amicizia a vent'anni. La scrittura di Bassani è bella in modo struggente, è malinconica, e ti avvolge come il buio fa con le stradine di Ferrara, percorsa sempre a piedi o in bicicletta. Una Ferrara che non ho mai visto - o forse una volta, troppo piccola per ricordarmene - eppure che ho la sensazione di conoscere come le mie tasche. C'erano scene difficili da raccontare in questo libro, alle quali so che, se scritte da una penna meno capace, avrei reagito storcendo il naso. C'è ad esempio il bacio meglio descritto che io abbia mai letto, e c'è un colloquio bellissimo - bellissimo perché credibile, reale - tra un padre insonne ed un figlio triste. I personaggi si scavano ognuno un proprio posto in un angolo della sensibilità di chi legge, o almeno questo è quanto è accaduto a me.

Non ho potuto riconoscermi in Micòl, perché non le somiglio per niente, ma come non restare affascinati dalla sua intelligenza, dalla sua vivacità, dal suo non essere mai scontata. E poi Alberto, che io non me lo spiego perché, ma col suo solo stare lì, adagiato tra le pagine, mi faceva sentire il pianto in pancia. Un ragazzo silenzioso, discreto, che sospetto fosse innamorato del suo migliore amico - ma non viene mai detto, in nessun modo, perciò non ne sono certa. E poi Giampi Malnate, così diverso dagli altri di questo intimo gurppo, grande e grosso nella fisicità, forte nella voce e nelle idee, fiducioso nel futuro, a Ferrara per lavoro con Milano e l'adorata mamma sempre nei pensieri. 

I personaggi secondari restano altrettanto impressi, come il signor Perotti, tuttofare di casa Finzi-Contini, tanto legato a certi fasti del passato che pian piano vengono lasciati indietro - come la bellissima carrozza che per anni ha avuto il piacere di guidare e che ancora ha cura di tenere come nuova; o il professor Meldolesi, docente di letteratura italiana presso il liceo classico frequentato dai ragazzi, appassionato e vivace, pieno di aspirazioni chiuse nel cassetto. Ed il professor Ermanno, capofamiglia di casa Finzi-Contini, che ho già nominato più volte ma che faccio fatica a decidere come descrivere. Perché è un uomo delicato, elegante, mai meno che educatissimo, che sembra colmo di piccoli ma potentissimi entusiasmi contenuti sotto strati e strati di pacatezza e buona educazione ereditarie. Ed infine il nostro protagonista senza nome ma pieno di cuore, che con immensa generosità ci presta i suoi occhi, le sue orecchie, per raccontarci di quella casa grande e calda da togliersi subito il cappotto, delle discussioni animate nel piccolo studio di Alberto, dei lunghi corridoi, le scale, la biblioteca con centinaia di volumi, avvolti dall'inverno, infine giunto dopo giorni di sole rubati all'autunno, sfruttate per sfidarsi in interminabili partite di tennis. A suo modo, lui è un Sognatore, nel quale son certa molti ventenni potrebbero riconoscersi. E c'è un'atmosfera in quella casa, nelle descrizioni che Bassani riesce a farne, che le nuove generazioni immagino definirebbero dark academia - ma io vengo da quella precedente, e per me è qualcosa senza tempo, fuori dal tempo, sospeso nel tempo.

Tranne per degli squarci, dolorosissimi, come questo qui:
Guardavo in giro ad uno ad uno zii e cugini, gran parte dei quali di lì a qualche anno sarebbero stati inghiottiti dai forni crematori tedeschi, e certo non lo immaginavano che sarebbero finiti così, né io stesso lo immaginavo (...)
Dalla prima all'ultima pagina, oltre ad essere rapita dalla bellezza della scrittura, ho sentito un nodo in gola che nemmeno arrivata all'ultima pagina ho avuto modo di sfogare. Aspettandomi di continuo il peggio, il peggio invece non arriva, perché il romanzo s'arresta prima che le cose più brutte accadano. Finisce con dolori che anche se dolori sono ancora dolori normali, comuni, tristi ma concepibili. Perciò anche a lettura conclusa mi son tenuta il mio nodo in gola, il magone sul petto, ed ho cominciato ad interrogarmi sul perché mi sentissi così. Ci ho messo un po', ma poi ho capito.

Ho pagato lo scotto di leggerlo dal futuro, col peso di una consapevolezza storica che gli abitanti di quelle pagine ignoravano del tutto. Fa male leggere di loro immaginando - talvolta sapendo - dove potrebbero esser finiti, cosa gli sarebbe successo di lì a poco. Fa male conoscerli così a fondo e vedere, al di là di tutta la loro cultura e dei frequenti dibattiti sulle questioni politiche, la totale ingenuità. Fa male vederli riempirsi il tempo, convinti che la vita sia solo in pausa per un po'. Vedere qualcuno laurearsi, nonostante tutto, anche se chissà se servirà mai quel pezzo di carta. Fa male sentirli sottovalutare le leggi razziali, giudicandole qualcosa di assurdo e ridicolo (definizioni giuste, ma di cui la realtà non ha tenuto conto). D'altronde, era impossibile immaginare quale piega folle avrebbero preso gli eventi.

E così, a Bassani non è servito raccontare gli orrori della Shoah, ha fatto un'altra cosa, forse ancora più efficace e dolorosa: ci ha fatto conoscere intimamente i Finzi-Contini, ci ha permesso di girare e sostare quanto ci pareva nella loro bellissima casa, ci ha descritto nel dettaglio i mobili di Alberto - il suo tavolo da ingegnere -, ci ha fatto innamorare di Micòl, ci ha persino fatto leggere la sua traduzione di una poesia di Emily Dickinson. Ci ha fatto affezionare al professor Ermanno con la tenerezza che proveremmo per nostro padre quando ci accorgiamo che comincia ad invecchiare. Ed a quel punto, quando ce li abbiamo profondamente nel cuore, quando abbiamo come raccolto un album di fotografie già piene di nostalgia, ci costringe a lasciarli soli, consapevoli che solo il narratore - il nostro Sognatore - è arrivato abbastanza lontano da raccontare.

Ma Il giardino dei Finzi-Contini, ve lo voglio ricordare, è soprattutto la storia di un amore.
Ed è uno dei romanzi più belli che io abbia mai avuto la fortuna di leggere.

Grazie, se hai letto sin qui.
Julia

 

 

 

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