Questa cosa che ha scritto Paolo Cognetti, che se proprio dovessimo definirla potremmo dire che è un saggio, io dico che prima di tutto è un'appassionata dichiarazione d'amore. Verso la letteratura e la lettura, verso i racconti in particolare e precisamente verso il Racconto Americano, verso quei grandi autori che sono stati i suoi maestri: Hemingway, Salinger, Flannery O'Connor, Carver, Alice Munro per citarne alcuni.

Ovviamente non conosco quest'uomo ma istintivamente mi sta simpatico. Se n'è andato a vivere in un posto sperduto in montagna, dove trascorre il tempo leggendo, scrivendo, scoprendo la natura selvaggia, tentando d'imparare a pescare. Dalla sua penna emerge un bellissimo connubio d'ironia e sensibilità, che mi ricordano lo spirito vivace di David Foster Wallace (immancabilmente incluso nelle riflessioni di Cognetti). Sì, è uno di quegli autori – almeno per me – che quando finisci di leggere un suo libro vorresti poter chiamare al telefono per fartici una chiacchierata. O ancora meglio, visto che non mi piace stare al telefono, raggiungere nel suo rifugio in mezzo ai boschi e parlarci davanti al fuoco acceso con un buon bicchiere di vino.
Ma veniamo a noi. A pesca nelle pozze più profonde è diviso in tre parti, le prime due formate da sei capitoli e l'ultima non ve lo dico perché, se come me avete amato la sua Sofia, è una chicca.
La prima parte s'intitola Sul mistero e la seconda – che praticamente ho sottolineato da cima a fondo – Ama i tuoi personaggi. Si tratta di un libro che se amate la letteratura, se amate le storie, se amate come fossero vostri intimi amici gli autori che quelle storie le hanno scritte non potrete non adorare. Io l'ho divorato in due giorni: è scritto con un piglio leggero ed intelligente e dentro ci ho trovato tante cose interessanti. Le parti che più mi sono piaciute sono state innanzi tutto quella in cui Cognetti porta l'attenzione sulle case, spesso perimetro entro cui i racconti si svolgono; e poi le riflessioni dedicate ad Alice Munro e Raymond Carver, che per diverse ragioni mi hanno colpita più di altre. Ma è stato bello anche scoprire qualcosa di autori meno noti come Andre Dubus o Grace Paley; toccanti anche le righe dedicate a Melville per il suo Bartleby lo scrivano.
Bramavo questo libro dal momento stesso in cui è uscito, perché ormai mi fido di Paolo Cognetti, nutro per lui una grande stima e amo il suo modo di parlare del mestiere di scrivere e degli autori americani. Il mio ragazzo ha fatto la giustissima scelta di regalarmelo per Natale ed è stata la mia prima lettura del 2016. Sono 130 pagine che scorrono che è un piacere, io – ve l'ho detto – non riuscivo a staccarmene. Credo che si tratti di un libro che possa piacere ad ogni buon lettore, in grado di destare curiosità, di fornire punti di vista e spunti di riflessione. In grado, anche, di spronare il pubblico dei lettori verso la forma del racconto che – almeno da noi – non è tanto conosciuta ed apprezzata quanto meriterebbe. Questo è un altro dei motivi per cui ammiro il lavoro di Cognetti: il suo impegno per promuovere la conoscenza del racconto tra i lettori italiani. Con me sta funzionando, auguro anche a tutti voi di lasciarvi trasportare dalla sua passione e dal suo entusiasmo.
Nessun commento:
Posta un commento