Parlare di un'opera che ci è piaciuta veramente, ma veramente tanto può essere semplice come bere un bicchiere d'acqua, o una questione incredibilmente problematica; nel primo caso, l'entusiasmo e la voglia di esprimere tale entusiasmo ci guidano, e noi ci lasciamo trainare, liberi e felici, come bambini che vedono una spiaggia per la prima volta. Nel secondo caso, radunare le idee - no, aspetta, siamo onesti: trovare il coraggio di parlare dell'opera in questione richiede un lavorio interiore che dura giorni e giorni, durante i quali si pensa a quante cose avremmo da dire, se trovassimo il coraggio, perdendoci in un labirinto di paranoie capace di farci cambiare idea ogni due per tre: dai sì, ci provo. No vabbè ma alla fine che importa, basta che lo so io. Però cavolo varrebbe proprio la pena scriverne... eh, ma che fai, scrivi pubblicamente proprio tutta la verità? No, dai, meglio lasciar perdere; se no si potrebbe tentare parlandone in maniera oggettiva, senza entrare nel personale... sì, ma così poi non ha senso, non avrò modo di spiegare nel dettaglio perché ho amato così tanto questa storia. Oh senti, basta, lo faccio. Ecco, tipo così, per giorni che diventano settimane. Anche se, onestamente, non credo di essermi mai arrovellata tanto il cervello come in questo caso.
La mia prima volta - My Lesbian Experience with Loneliness di Kabi Nagata è un volume unico, edito in Italia da J-pop (in un'edizione bicromatica davvero bella), che mi ha... no, fermi, non ce l'ho un aggettivo. Questo fumetto mi incuriosiva tantissimo da ormai un po' di anni, quando lo vedevo girare sul web nell'edizione inglese; immaginate un po' la mia gioia - condivisa da moltissimi altri, per fortuna - quando l'ho visto arrivare nelle nostre fumetterie. Nonostante questo, non sapevo di cosa parlasse, perché una cosa che amo è addentrarmi in un'opera sapendone poco o nulla, per godermi tutto il piacere della scoperta e della sorpresa. E, amici, che sorpresa stavolta! La storia non è affatto incentrata sul sesso o sull'orientamento sessuale della protagonista come potrebbe suggerire il titolo: il sesso c'entra perché la sessualità, che si faccia sesso o meno, fa parte di ogni singolo essere umano e consapevolmente o meno ne siamo tutti condizionati nella nostra vita quotidiana. E siccome questo è un fumetto che parla molto di disturbi psicologici, della fatica di trovare un proprio equilibrio, di voler mollare tutto ma non riuscire allo stesso tempo a smettere di combattere per capire chi si è veramente e che cosa si vuole per la propria esistenza... ecco, in tutto questo anche la sessualità è una componente importante.
Questa è una storia autobiografica, la protagonista perciò è la stessa mangaka, Kabi Nagata, che con un coraggio che non smetterò mai di invidiare, con una sincerità disarmante racconta i suoi anni più oscuri e desolati, che vanno dalla fine del liceo ai ventisette anni, momento in cui inizia finalmente a scrivere questo manga che sarà la chiave di svolta per prendere in mano la sua vita. Uscita dal liceo, infatti, dove era una studentessa come molte altre - brava a scuola, con le sue passioni e tante amiche - non è più riuscita a trovare un luogo cui appartenere, come lo definisce l'autrice. Si iscrive all'università come fanno tutti gli altri, ma dopo appena sei mesi lascia perdere perché si accorge che non è il posto che fa per lei; così, com'è giusto che sia, trova un lavoro part-time che inizialmente la soddisfa, illudendosi di essere parte di qualcosa avendo un luogo dove recarsi tutti i giorni ed interagendo con i colleghi, ma quando lei non riesce ad essere puntuale, efficiente e produttiva va incontro alle ovvie conseguenze, ossia richiami ed infine il licenziamento. I motivi per cui lei non riesce a tenersi il lavoro non sono stupidaggini: il disagio che lei prova e che non elabora a parole trova altre strade per venir fuori da quella testa compressa, assumendo la forma di gravi patologie psicologiche. Nello specifico, la protagonista cade nel vortice dei disturbi alimentari, passando dall'anoressia alle abbuffate compulsive, e mettendoci nel mezzo l'autolesionismo giusto per non farsi mancare niente. E quando, da sola e con immenso impegno, metterà una pezza su questi disastri esistenziali, il dolore non estirpato troverà ancora un altro modo per farsi vedere: la tricotillomania, che non è uno scioglilingua né una supercazzola né tanto meno un incantesimo; è un altro disturbo nervoso, di tipo ossessivo-compulsivo, che porta chi ne soffre a sentire il bisogno di strapparsi i capelli. Da questo, la protagonista/autrice ricaverà una bella chiazza calva sulla testa che sarà un ulteriore fonte di imbarazzo e vergogna.
Se ora state immaginando un dramma, pieno di lacrime e tragedie, non potreste sbagliarvi di più. L'autrice ha saputo raccontare la propria sofferenza con una calma, una sobrietà ed una razionalità che non hanno eguali: pane al pane, vino al vino. Non ha cercato di abbellirsi in alcun modo, né ha calcato la mano su quei tanti tratti in cui molti altri sarebbero scivolati nell'esasperazione dei toni o, ancor peggio, nell'autocommiserazione. Kabi Nagata non fa niente di tutto questo, non fa altro che raccontare il suo vissuto ed analizzarlo con una lucidità che fa capire quanta realtà ci sia dentro queste pagine, perché chi non ha visitato davvero certi luoghi non li può descrivere in questo modo.
I disturbi psicologici non sono neanche il fulcro dell'opera, pensate un po'. Si parla di talmente tante cose qui dentro che è difficile spiegarvele tutte. La Nagata analizza il suo rapporto coi genitori, e lo spiega da una parte con la consapevolezza di una che l'ha compreso e risolto, ma al tempo stesso con tutte le difficoltà della se stessa che ancora ci stava incagliata dentro. Parla di solitudine, perché lei non aveva uno straccio di amico né tanto meno - figuriamoci - aveva mai avuto una relazione sentimentale. Parla del bisogno di ricevere un abbraccio vero da un altro essere umano. Parla di come il sesso possa talvolta costituire un taboo e di quanto sia importante rompere questo taboo ed imparare a riconoscersi anche come una persona sessuata e con dei bisogni sessuali fino a quel momento repressi. Parla, in poche parole, del lungo, lento, faticoso percorso che la protagonista/autrice ha dovuto compiere non per trovare la sua strada, ma soltanto per arrivare al passo ancora prima di questo: capire da che parte iniziare per cercarla, quella strada.
Questo manga, che ho divorato in un giorno solo ed al quale a distanza di settimane non ho ancora smesso di pensare, credo sia diventato il mio preferito di sempre. Mi piace il tratto semplice e schietto dell'autrice, e la bicromia bianco/varie sfumature di rosa funziona alla grande. Ho già espresso la mia totale ammirazione per il coraggio e la sincerità, proprio senza veli, con cui ha raccontato questi aspetti così difficili di se stessa, perché ci sono dentro anche elementi di cui non vi ho parlato e che sono certa molte altre persone si sarebbero vergognate di raccontare anche all'amico più fidato. Invece lei le ha prese e buttate in questo manga, forse perché in fondo aveva capito di non essere l'unica ad aver avuto certi pensieri, o provato certi sentimenti, ed ha pensato di restituire quel favore che altri le avevano già fatto: raccontarsi, nella speranza che quell'atto pruriginoso sarebbe potuto essere utile per coloro che avrebbero letto.
E lo è stato, cara Kabi Nagata, lo è stato eccome. Lei aveva appunto ventisette anni, quando ha radunato forze ed esperienze per mettere al mondo questo manga, l'età che ho io ora che ne scrivo. Siamo la generazione dei più o meno quasi all'incirca trentenni, e da questa generazione stanno fioccando opere che raccontano questo profondo disagio esistenziale, questa lotta estenuante per trovare un proprio posto, o qualcosa che ci faccia sentire definiti. Siamo liquidi, e vorremmo diventare solidi come le altre persone che sembrano funzionare, che si ammaccano ed ogni tanto si rompono, ma per lo meno hanno una forma e non si disperdono così disordinatamente, a macchia d'olio, sprecando ogni goccia di potenziale e facendo sempre più fatica a ricomporsi.
My Lesbian Experience with Loneliness è uno dei fiori all'occhiello di quella che per me ormai è una nuova corrente letteraria/fumettistica, lo è per la sua completezza, per la sua profondità, per la sua enorme capacità di comunicare col lettore. L'ho amata perché io ho vissuto o vivo tutt'ora davvero un'ottima percentuale delle cose narrate dalla Nagata (ed ecco svelata la mia nota dolente), ma l'ho amata anche perché ho capito subito che è un'opera che potrebbe essere più facilmente compresa anche da una persona che non ha mai vissuto niente di tutto questo, e che fatica a capire cosa possa esserci che non va in una persona che in fin dei conti sembra solo pigra e svogliata e depressa senza motivo. Ha fatto uno schemino strepitoso sul meccanismo mentale che porta un autolesionista a farsi del male fisico, più di così non si poteva fare (-> tono sarcastico rivolto ai chiusi di mente, agli scettici, ai superficiali, a quelli che davanti a certi problemi sanno dire solo "è matto/a" oppure "dai, non farlo più!" di cui ahimè è ancora pieno il mondo).
Vi ho detto tutto, eppure vi ho detto troppo poco. Questo manga merita moltissimo, a maggior ragione se vi sentite in stallo, se c'è una parte di voi che vive in gabbia dimenandosi nel tentativo di liberarsi, se state cercando di spiccare il volo ma non riuscite a fare altro che ridicoli saltelli. Mi sono rivista talmente tanto nella protagonista, che come una bambina sciocca ho iniziato ad aggrapparmi a lei pregandola tra me e me di offrirmi una soluzione. Ad ogni pagina che voltavo, speravo con tutta me stessa che la conclusione della sua vicenda personale mi offrisse una chiave per risolvere anche la mia. Com'è ovvio in una storia autobiografica, il finale non è altro che l'inizio di una nuova storia, eppure qualcosa di importante l'ho visto comunque. E se l'ho visto io, potrebbero trovarlo anche molti altri lettori e lettrici che si sentono come me. Ma questo manga non va letto soltanto se si sente la possibilità di immedesimarsi, anzi, lo dovrebbero leggere anche le persone solide per capire un po' come ci si sente tutti i santi giorni ad essere persone liquide.
Leggere La mia prima volta - lo ammetto - mi ha fatta sentire meno sola.
E di conseguenza, meno in colpa per l'infinità di cose di cui invece mi incolpo.
Colmare vuoti e alleggerire di qualche peso, anche se soltanto per un po', è una delle cose più belle che la lettura possa fare.
Grazie, Kabi.
Bellissima recensione.
RispondiEliminaPurtroppo non ho ancora questo volume fra le mani perché devo ancora passare in fumetteria a ritirarlo, ma so già che l'adorerò.
Oh Julia, che inno d'amore hai regalato a questo libro!!! Ovviamente mi hai convinta a leggerlo, ma ormai lo sai che mi fai questo effetto, però i contenuti che hai inserito a descrizione di quest'opera mi hanno fatto sentire tanto in sintonia con la protagonista, almeno nella sensazione di disagio e indefinizione che indicava tu, quell' essere liquidi che fa sì che non ci si riesca ad identificare nemmeno in una forma qualunque. Mi sono innamorata del tuo amore per questo manga e, attraverso i tuoi occhi, sono pronta ad innamorarmi anche del fumetto stesso. Il tuo entusiasmo è stupendo e la tua capacità di esprimerlo in parole è eccezionale!!! Bravissima! :)
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