mercoledì 20 maggio 2020

Tess dei d'Urberville, Thomas Hardy

La primissima recensione che portai su questo blog, cinque anni fa, riguardava Via dalla pazza folla di Thomas Hardy, autore cui mi approcciavo allora per la prima volta ed a cui sono tornata solo questo mese - un po' perché avevo provato un'inusitata antipatia per la protagonista di quel romanzo, e temevo di incontrare nelle sue opere un'altra donna simile; un po' per il flusso casuale che mi muove nelle mie scelte libresche. Qualora decidiate di buttare un'occhio su quel vecchio post, infatti, potrete constatare come mi fossi innamorata della prosa dell'autore, soprattutto per la sua capacità di rendere viva e visibile la natura, ma come il fastidio verso Bathsheba Everdene avesse reso difficile l'apprezzamento totale dell'opera. Cosa che invece, con mio grande piacere, è accaduta molto facilmente con Tess dei d'Urberville, un romanzo che non si può definire meno di un capolavoro, uno di quelli che quando mi accingo a scriverne vengo presa dall'insicurezza, che si palesa sotto forma di domanda: cosa mai potrò dirne, io, che non sia già stato detto prima e meglio? Forse niente, ma io per prima quando lessi Via dalla pazza folla non sapevo nulla di Hardy.

Non sapevo, ad esempio, che ci mise del tempo per far della scrittura il suo mestiere, perché terminate le scuole a sedici anni, piuttosto che iscriverlo all'università i genitori preferirono che imparasse una professione, e lo affidarono come apprendista ad un architetto. L'architettura divenne per Hardy una sorta di sentiero obbligato e pur perseverando nell'apprendistato ed intraprendendo la carriera che era stata scelta per lui non vi si appassionò mai, e non appena gli fu possibile conciliare le due cose diede inizio alla sua carriera letteraria. Hardy è uno scrittore, ed un romanziere, che possiamo senz'altro definire atipico, soprattutto considerando l'epoca e la stagione letteraria in cui visse e scrisse. Il suo lavoro infatti s'inserisce a pieno titolo nell'epoca vittoriana, che come ogni amante della classicità inglese ben sa ci ha lasciato in eredità una buona fetta dei migliori romanzi di sempre. Le sorelle Bronte, Dickens, Collins, Thackeray, George Eliot, Elisabeth Gaskell, Trollope - è lunga la lista di autori illustri che hanno segnato la letteratura inglese di quel tempo, e pur avendo ognuno un suo stile, sue caratteristiche riconoscibili ed inimitabili, le loro penne sono in qualche modo legate da quella che potremmo definire un'atmosfera, un senso comune di fondo che deriva probabilmente dall'uso della stessa lingua madre e dalla condivisione delle radici britanniche. Hardy non fa eccezione in questo, eppure ho la sensazione che la materia narrativa da lui scelta si discosti da quella dei colleghi, e mi colpisce il suo aver fatto parte di una letteratura così fervida, restandoci in qualche modo in costante conflitto

 Thomas Hardy, 1840-1928


Arrivò infatti un momento in cui la sua carriera letteraria cominciava ad andar così bene da permettergli di lasciare definitivamente l'attività di architetto. E quando poté a tutti gli effetti definirsi uno scrittore, la sua sensazione fu quella di essere ora legato alla necessità di scrivere romanzi così come era stato costretto agli orari ed agli impegni da architetto. La prima vocazione di Hardy, quando ancora era studente, era stata la poesia ed è significativo - considerato tutto questo - che negli ultimi anni della sua attività egli smise completamente di scrivere romanzi, e si dedicò alla scrittura in versi. La critica parla per questo di due momenti nettamente distinti nella produzione di Hardy, quello in prosa e quello poetico, quando in realtà egli non aveva mai smesso di coltivare in primo luogo la propria vocazione poetica. Hardy, del resto, non fu uno scrittore particolarmente compreso dalla critica e dal pubblico del suo tempo: le sue opere furono spesso accolte con freddezza, se non con aperta ostilità, un risultato che il più delle volte l'autore non si aspettava, e che lo lasciava deluso ed amareggiato. E' probabile che la ragione di questa incrinatura tra Hardy ed il suo tempo stia nel suo essere essenzialmente uno scrittore della transizione, e ciò si nota in particolar modo mettendo a confronto la prima e l'ultima delle sue opere: in Estremi rimedi (1871) addirittura cercò di emulare a modo suo la sensation novel di Wilkie Collins, che tanto successo riscuoteva nel pubblico, mentre in Jude l'Oscuro (1895) anticipa il romanzo del Novecento. Egli è, quindi, l'ultimo dei grandi vittoriani. 

Avete presente la teoria dell'effetto farfalla? Quella teoria secondo cui, un semplice battito d'ali di una farfalla in un punto qualunque della Terra, può causare stravolgimenti dall'altra parte del globo. La scena iniziale di Tess dei d'Urberville (1891) ha un po' il sapore di questa teoria, poiché tutto comincia con una scena che poteva non avere alcuna conseguenza: un prete, che lungo una strada di campagna di sera incrocia un povero carrettiere di mezza età. Il prete, che è appassionato di storia, non si trattiene dal rivelargli una sua recente scoperta, ossia che quell'uomo povero in canna discende in realtà da una delle più antiche ed un tempo ricche famiglie della contea, ormai decaduta, i d'Urberville, di cui il suo cognome - Durbeyfield - ne è un'evidente storpiatura. E' da questa banalità che hanno inizio, quasi ad effetto domino, gli eventi che segneranno il destino di Tess, rendendolo sempre più diverso da quello che avrebbe potuto essere.

Trattandosi di un classico molto popolare, anche di questi tempi a quanto pare dalla comunità web dei lettori, raccontare oltre della trama mi pare superfluo. Più interessante, forse, è approfondire alcuni di quelli che secondo me sono i temi centrali dell'opera. La tragica storia di Tess fa riflettere il lettore su due nodi fondamentali:

  • l'ancestrale senso di colpa della donna. Ha cominciato Eva, ed ogni donna che calpesterà questo mondo se ne porterà dietro le conseguenze. Tess, che è una ragazza buona, ingenua e volenterosa, si porta dentro fin da quando la conosciamo il peso di colpe che non possiede. I genitori sono due sprovveduti, sfaticati ed irresponsabili, cosa che però lei non vede o non vuole riconoscere ed invece di essere arrabbiata o amareggiata per l'esser figlia di due simili soggetti si sobbarca senza nessuna lamentela le responsabilità che spetterebbero agli adulti. E quando il loro unico cavallo, indispensabile al loro sostentamento, viene perduto per un incidente di cui subito Tess si sente colpevole, il suo senso di colpa comincia ad emergere chiaramente, facendola sentire in dovere di accettare ogni richiesta avanzata dai genitori per ripagarli di quella grave perdita da lei causata. Quando poi sarà vittima - e sottolineo vittima - dell'evento che segnerà la sua vita, il senso di colpa si gonfia a dismisura e non se ne andrà mai più. Quest'ombra che la accompagna si incontra per tutto il romanzo, in scene strazianti come quando durante un lungo e stancante viaggio a piedi viene importunata a parole da uno sconosciuto e lei, dopo averlo seminato, si fascia la testa in un fazzoletto e si strappa le sopracciglia per imbruttirsi, come se la sua bellezza fosse qualcosa per cui merita di punirsi. Quello di Tess è un sentimento dolorosissimo a leggersi, ma ancor più doloroso è pensare che da questo punto di vista Hardy abbia scritto un romanzo incredibilmente attuale, perché credo che troppe donne ancora oggi siano vittime di questo tipo di pensieri, inculcati da mentalità tossiche e retrograde o da brutte esperienze mai elaborate.
  • Il sacrificio di sé come reazione. Allo stesso tempo, o conseguentemente a questo, ho letto in quest'opera un messaggio molto chiaro, ossia la dimostrazione che l'arrendevolezza, la sottomissione, la totale abnegazione non rappresentino affatto una via per la redenzione. Tess, infatti, ha uno spirito di sacrificio ed una forza di volontà a dir poco notevoli. Non si piange mai addosso, né si ribella contro ciò che le accade o chi la fa soffrire. La sua risposta ai problemi ed alle sfide che una dopo l'altra si presentano sul suo percorso è quella di chiudere la bocca e rimboccarsi le maniche, convinta che non chiedendo mai niente a nessuno, restando il più possibile al suo posto (o quello che lei considera tale) e dandosi da fare, dimostrerà il proprio valore, e riuscirà a farsi perdonare - per quelle colpe che non ha - ed infine amare. Tutto, nella sua vicenda, dimostra che non sia così e di come invece avrebbe avuto forse qualche chance in più se si fosse rinnegata meno e se avesse avuto qualche pretesa in più. Se si fosse amata un po', e se pensando di avere un valore, dei diritti, una dignità non si fosse consegnata ad un destino tanto crudele. 


Tess dei d'Urberville, almeno a mio giudizio, è nettamente superiore a Via dalla pazza folla, col quale comunque condivide quella potenza descrittiva senza pari. Ci sarebbe ancora molto altro da dire, parlando ad esempio del famoso Wessex, ambientazione rurale immaginaria nella quale sono ambientate tutte le opere hardiane. Tess dei d'Urberville è un romanzo imperdibile per gli amanti della letteratura classica, una storia tragica e potentissima che mi ha fatta soffrire come da tempo non mi accadeva leggendo un romanzo. Da tenere quindi per un momento in cui ci si sente pronti, ma decisamente da non trascurare.

Vi segnalo inoltre, anche se non l'ho ancora visto, che nel 2008 ne è stato tratto un film con Eddie Redmayne nel ruolo di Angel Clare. Ho sempre del timore nel guardare un film tratto da un libro molto amato, ma la presenza di questo talentuosissimo attore è un motivo sufficiente per rischiare.

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