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Il balcone di Giulietta |
Romeo e Giulietta, il cui titolo originale è The Most Excellent and Lamentable Tragedy of Romeo and Juliet, fu composta tra il 1594 ed il 1596, traendo spunti ed ispirazione da opere di epoca classica: Shakespeare guarda alla letteratura greca antica, in particolare ai Racconti efesii intorno ad Abracome e Anzia di Senofonte Efesio ed a Le Metamorfosi di Ovidio, già citate anche in opere precedenti (vedi Tito Andronico).
Nella vicenda di Abracome e Anzia, già marito e moglie, la coppia di innamorati è separata dalla sorte avversa e lei, trovandosi in una situazione complicata, beve una pozione che crede essere veleno, ma che produce invece solo un letargico stato di morte apparente, proprio come quello che utilizza Giulietta.
Da Le Metamorfosi invece, Shakespeare riprende il motivo di Piramo e Tisbe: Ovidio narra la leggenda di due giovani innamorati ostacolati dalle famiglie, che continuano a parlarsi attraverso una crepa nel muro che separava le loro case. Stanchi della situazione, Piramo e Tisbe programmano la loro fuga, dandosi appuntamento sotto un gelso; Tisbe arriva per prima e disgraziatamente viene attaccata da una feroce leonessa, dalla quale riesce però a mettersi in salvo, ma nell'impresa perde il suo velo, macchiato peraltro dal sangue della belva; quando sopraggiunge Piramo e vede il velo insanguinato della sua amata pensa subito al peggio e, disperato, si toglie la vita trafiggendosi con la spada. Quando Tisbe torna sul posto, trova Piramo in fin di vita. Dopo essersi guardati per un'ultima volta, anche lei si toglie la vita, restando accanto a lui sotto la pianta di gelso. Gli dèi, commossi, trasformarono i frutti di gelso - intriso del sangue dei due amanti - in un colore rosso vermiglio.
I Montecchi ed i Capuleti, poi, le due famiglie nemiche della tragedia, venivano già nominati dal nostro Dante Alighieri all'interno della sua Commedia nel Canto VI del Purgatorio: una famiglia Montecchi era davvero originaria di Verona, mentre i Capuleti - in realtà Cappelletti - venivano da Brescia, ma si trovavano a Verona all'epoca di Dante. Non si ha notizia di scontri tra queste due famiglie, benché si sappia che i Montecchi condussero una lunga e sanguinosa lotta con i guelfi. Dante non fa riferimento ai due sfortunati amanti, parla solo delle famiglie definendole "già tristi". Dopo di lui molti autori italiani dell'epoca ripresero la storia dei Montecchi e dei Capuleti, inserendo di volta in volta nuovi elementi, fino ad arrivare alla versione di Matteo Bandello del 1554, il quale introduce il tema dell'iniziale sofferenza di Romeo, inserisce la figura di Benvolio e rende definitiva l'ambientazione veronese dell'opera.
Il testo fu poi tradotto in francese nel 1559 ed in inglese sia in versi da William Painter nel 1567 che in prosa da Arthur Brooke nel 1562; a quest'ultimo è da attribuire l'invenzione della balia per come la leggiamo anche nel testo shakespeariano: spontanea, generosa e dall'umorismo popolare. Tuttavia sia la rielaborazione francese che quella inglese hanno un tono piatto e sin troppo moraleggiante: i personaggi non hanno quella vitalità e quell'animo che seppe dargli successivamente il drammaturgo inglese.
Come ben saprete attingere dalla tradizione classica non significa certo copiare, e la rielaborazione di Shakespeare presenta numerose innovazioni: innanzi tutto, nelle versione precedenti i due amanti venivano condannati per aver seguito i loro istinti piuttosto che curarsi della volontà delle loro famiglie, mentre Shakespeare li assurge ad archetipi dell'amore tragico ed al contempo riesce a dipingere la crisi sociale e culturale dell'epoca, in cui figure importanti come il Principe o la Chiesa non riescono più ad imporsi ed a stabilire l'ordine. Poi arricchisce tanto lo stile quanto la trama, dando molta più importanza alle figure minori, come Benvolio - cugino di Romeo - che diventa testimone della tragedia; sfrutta maggiormente la figura della balia per regalare al testo più momenti comici e leggeri; ed infine Mercuzio, la figura che rappresenta l'amore dionisiaco, colui che vede la donna solo sul piano superficialmente materiale e che fa da contraltare a Romeo, il quale ha ben altra concezione della sua Giulietta, molto più alta e più profonda, trascendente la finita materialità della carne. Mercuzio resta uno dei personaggi con maggior potenzialità drammatiche di tutto il teatro shakespeariano: i suoi monologhi, quando recitati bene, fanno inevitabilmente provare la pelle d'oca allo spettatore.
Non vi ho detto nulla della trama, perché a grandi linee la conoscono tutti, mentre ciò che forse ancora non sapete... be', vi lascio il piacere di scoprirlo leggendolo da voi. La storia è talmente famosa che fin troppo spesso mi è capitato di sentirla banalizzare oltre ogni mio livello di sopportazione, come quando si dice che in fondo è la storia di una cotta tra due quattordicenni, che nemmeno si conoscono e arrivano a suicidarsi! Chi ha la faccia tosta di dire cose del genere non penso abbia letto il testo, e se l'ha fatto posso dire - senza presunzione alcuna - che non ci ha capito un'acca. Innanzi tutto, i quattordici anni del Cinquecento sono i trenta di oggi. All'epoca, a quell'età era normale pensare già al matrimonio, dunque nulla di strano. In secondo luogo, non è la loro storia in quanto tale ad esser veramente importante. Sapete, Romeo e Giulietta è l'unica opera che ho riletto davvero tante volte fino ad ora e l'ho fatto perché sin dalla prima volta mi ha comunicato qualcosa di grande, che però non riuscivo completamente a definire, a spiegarmi. Sì, d'accordo, era emozionante oltre ogni dire. Mi piacevano tantissimo i personaggi, okay. Ma in fondo, perché mai Romeo e Giulietta era diventata la madre di tutte le storie d'amore?
Ho dovuto leggerla ancora tante volte, e soprattutto ho dovuto vivere un po' di più per capirlo, ma alla fine ho capito.
Quella di Romeo e Giulietta in realtà è una storia sul tempo. Il vero problema di Romeo e di Giulietta era quello, il tempo. Se a Romeo fosse arrivato in tempo il messaggio che l'avrebbe informato riguardo la messinscena che Giulietta aveva progettato; se Giulietta si fosse svegliata in tempo. Ma non è andata così e così non doveva andare: perché il Bardo voleva raccontare esattamente questo, e cioè come noi umani non riusciamo ad essere mai in tempo. Non soltanto nell'andare o nel tornare, ma soprattutto nel capire. Nel capire le persone, nell'incontrare l'altro, nel comprendere o nell'ascoltare pensieri e sentimenti, nostri o di chi ci sta davanti. Nel fare o dire una determinata cosa. Quand'è particolarmente importante, l'uomo e la donna - specie se vogliono amarsi - sono sempre in anticipo o in ritardo. E se questo è il dramma della vita, è al tempo stesso il movimento della vita: se non ci fossero i contrattempi e gli imprevisti non ci sarebbe nulla da raccontare, e dunque non ci sarebbero storie.
Quel che sembra anche suggerirci Shakespeare con la tragedia del suo Romeo e della sua Giulietta è anche che l'unico momento in cui riusciamo ad essere perfettamente in tempo - non un secondo indietro, non uno avanti - è quando amiamo, e al contempo siamo amati. Si tratta di attimi, come il momento dopo aver fatto l'amore e ti trovi nello stesso luogo e nello stesso istante con un'altra persona, per un perfetto secondo di eternità. Solo in quel momento non esiste dolore, né sofferenza, né rimpianto.
Ed è questo, secondo me, che ha fatto di Romeo e Giulietta la storia madre di tutte le storie d'amore, la sua parabola sulla totale imperfezione del tempismo umano, che finisce col rendere complicate anche le cose più semplici.
A questo tema universale, che da allora ad oggi non è cambiato di una virgola, si aggiunge una scrittura da definire senza esitazione assolutamente perfetta; dei personaggi vivi, intensi, le cui emozioni vibrano dentro il lettore - divenuto umile spettatore, cittadino di Verona - sconquassandogli il petto.
A me è successo ogni singola volta che l'ho letto. E a voi?