La battaglia al muro
Essi, infatti, pietre dal muro ben costruito
scagliavano, difendendo se stessi e le tende
e le navi veloci. Come cadono i fiocchi di neve
che un vento gagliardo, scuotendo la nuvola,
fitti riversa sopra la terra nutrice di molti;
così si riversavano i dardi sia dalle mani dei Teucri,
sia degli Achei, secco suonavano gli elmi,
colpiti da pietre molari, e i concavi scudi.
Non so se è esatta ma l'immagine che mi sono fatta io degli spazi in cui i due eserciti, quello Troiano e quello Acheo, combattono all'incirca è questa: da una parte c'è la città di Troia, protetta dalle sue alte mura, dai piedi delle quali si dispiega il vasto spazio aperto, scenario delle più dure battaglie, che si estende fino a tuffarsi nel mare. Sulle rive sono ancorate le navi degli Achei, la sabbia è nascosta da tutte le loro tende, attorno alle quali Agamennone ed i suoi uomini avevano costruito un muro che desse loro un minimo di protezione dal nemico. Ed è su queste mura che, nel Libro Dodicesimo, il nemico si scaglia.
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Ilio, la città di Troia |
Lasciatevi dire che i versi del Libro Dodicesimo sono sublimi, così evocativi, emozionanti, appassionanti. Se ben ricordate dal libro precedente, si era nel mezzo di una battaglia che sarebbe durata tre giorni; i più grandi eroi Achei erano ormai fuori gioco, colpiti dalla furia dell'esercito Troiano ed in particolare dal loro signore, Ettore, il favorito di Zeus, cui il dio stesso aveva donato forza e vigore, e gli aveva promesso la vittoria e la gloria.
Il muro costruito dagli Achei era stato costruito soltanto con la forza delle loro braccia, senza la protezione di alcuna divinità, ed aveva perciò ben poche speranze di durare troppo a lungo. Per nove giorni, Zeus fa piovere incessantemente, mentre Apollo e Poseidone scagliarono la furia di tutti i fiumi che dai monti scendono verso il mare, affinché il muro iniziasse al più presto a cedere. Intanto, intorno al muro la battaglia imperversava e, mentre gli Achei restavano presso le loro navi atterriti dalla sferza di Zeus, Ettore esortava i compagni ed i cavalli a saltare senza indugio il fossato: i cavalli però si arrestavano sul ciglio, impauriti, ed anche i fanti dubitavano della possibile riuscita. Si avvicina allora Polidàmante, il quale fa notare ad Ettore che se anche fossero riusciti a saltare con successo il fossato, nel caso in cui gli Achei avessero subito contrattaccato loro rischiavano di restarci imbrigliati, e quella sarebbe stata la fine; suggerisce piuttosto di lasciare lì i cavalli con gli scudieri, mentre tutti loro, armati e protetti dalle corazze, sarebbero andati a buttar giù il muro. Ettore accoglie il consiglio, e così si decide di fare; uno solo tra i Troiani non ascolta le direttive, Asio, che si avvicina al muro con tanto di scudiero e cavallo. Omero si lancia qui in un'espressione insolita, esprime un suo giudizio, dando ad Asio dello stolto, per questa sua imprudenza; al tempo stesso ne predice il destino, che ovviamente sarà di morte. Simili anticipazioni possono stupire il lettore moderno, ma lo stile epico non si nutre di elementi quali sorpresa, imprevisto, colpo di scena: l'epica parla di fatti già accaduti, che si dà per scontato siano già noti al lettore o, ai tempi, all'ascoltatore.
Le porte delle mura non erano chiuse, il passaggio veniva tenuto aperto nel caso in cui un compagno ferito o troppo stanco dovesse correre a riposarsi presso le navi. Asio vi guida dentro i suoi cavalli, ma seppure aperte le porte non erano certo incustodite:
Stolti! sulle porte trovarono due forti eroi,
figli superbi dei Lapiti guerrieri,
il figlio di Pirìtoo, Polipete gagliardo,
e Leonteo pari ad Ares flagello degli uomini.
Stavano questi due di qua e di là dalla porta,
come querce dall'alta cima sui monti,
che tutto il giorno al vento e alla pioggia resistono,
ferme sulle radici solide e vaste;
così quelli, fidando nella forza e nel braccio,
attesero il grande Asio avanzante e non fuggirono.
Inizia una battaglia feroce, con i due eroi alle porte che difendono strenuamente l'ingresso e gli altri soldati Achei che dall'alto, dall'interno delle mura, lanciano pietre a non finire. Asio, sconvolto dalla mancata resa dei nemici, invoca Zeus disperato ma il dio non bada alle sue parole, perché la sua mente è concentrata soltanto su Ettore, al quale era deciso a donare la gloria che gli aveva promesso.
Omero si esprime qui nuovamente in prima persona: "raccontare ogni cosa, come un dio, m'è difficile". Gli Achei erano sfiniti, ma non potevano smettere di combattere, e gli dèi che stavano dalla loro parte erano straziati nel vedere questo scenario pietoso. E all'improvviso accade questo:
Venne ad essi un uccello, mentre volevan passare,
un'aquila alto volo che si lasciava a sinistra l'esercito,
tra gli artigli portando un serpe sanguigno, enorme,
ancora vivo e guizzante; e non scordava la lotta,
anzi colpì l'uccello che lo teneva, nel petto, vicino al collo
piegandosi indietro; essa allora lo scagliò a terra lontano da sé.
Straziata dal dolore, lo scagliò tra la folla
e fuggì a volo tra i soffi del vento, strillando.
Rabbrividirono i Teucri che videro torcersi il serpe,
segno di Zeus egìoco, in mezzo a loro per terra (...)
Polidàmante si fa avanti di nuovo, dicendo ad Ettore che quanto hanno appena visto non può presagire nulla di favorevole; ma Ettore stavolta non ascolta il compagno, rispondendogli che non gli interessano gli uccelli che volano a destra o a sinistra né cosa si tengono in bocca: lui tiene bene a mente e nel cuore soltanto le parole che Zeus stesso gli aveva trasmesso, ed attende fiducioso che quel momento di gloria arrivi. Infatti, poco dopo, il signore degli dèi manda una folata di vento che istupidì la mente degli Achei avvantaggiando Ettore ed i suoi uomini. Poi, suscita particolare forza in Sarpedone, che si scaglia contro le mura come leone contro buoi corna lunate. Assieme al compagno Glauco, si dirigono minacciosi verso una delle torri Achee, quella sorvegliata da Menesteo, il quale, ansioso, si guarda attorno in cerca di compagni che vengano a proteggere lui e gli uomini suoi, ma erano tutti troppo lontani ed il rumore tanto forte (il rombo al cielo arrivava) che nessuno mai l'avrebbe sentito. Così manda l'araldo Toote a chiamare con urgenza il valoroso Aiace, il quale accorre subito assieme al fratello Teucro. Quando giungono alla torre di Menesteo, Sarpedone e Glauco - sovrani dei Lici - stavano già salendo sui parapetti e dunque Aiace e Teucro, senza indugio, si gettano in un feroce corpo a corpo mentre l'urlo saliva.
Molti eran feriti nel corpo dal bronzo spietato (...)
e da per tutto le torri e i ripari di sangue d'eroi
eran bagnati, dalle due parti, degli Achivi e dei Teucri.
Ed il tanto atteso momento di gloria promesso ad Ettore da Zeus infine arriva. Il figlio di Priamo balza per primo al di là del muro acheo e con quanto fiato ha in gola urla ai compagni di sfondare il muro e gettare il fuoco sulle navi achee. Poi afferra un sasso, un sasso che i due uomini più forti del mondo non sarebbero riusciti a sollevare, ma che Ettore roteava a suo agio perché per lui Zeus l'aveva reso leggero, e con questo:
Venne a piazzarsi molto vicino e lì colpì in mezzo con forza,
divaricando le gambe, che non venisse debole il colpo;
e i due arpioni spezzò e piombò dentro la pietra
pesantemente, forte muggiron le porte, le sbarre
non tennero, saltarono via i battenti
sotto il colpo del masso; Ettore glorioso si buttò dentro,
simile nell'aspetto a rapida notte; luceva il bronzo
orrendo, che vestiva il suo corpo, e nelle mani
aveva due lance; nessuno l'avrebbe fermato tenendogli testa,
quando saltò di là dalla porta; ardevano gli occhi,
di fuoco, e verso la folla voltandosi, chiamava i Troiani
a superare il muro; essi all'invito obbedirono,
subito alcuni scalarono il muro; altri si riversarono
per le solide porte; i Danai fuggirono
verso le navi concave; e fu tumulto indomabile.
Per oggi non aggiungo nulla perché, non so voi, ma io ho i brividi.
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