lunedì 16 marzo 2020

Senza nome, Wilkie Collins

Era il 1862 quando Wilkie Collins, dopo il successo di Basil e La donna in bianco, tornava a far compagnia ai lettori inglesi con un nuovo romanzo, intitolato Senza nome. Ancora una volta, il suo pubblico restò appeso ad un filo per un anno intero, aspettando di mese in mese che il capitolo successivo venisse pubblicato sulla rivista All The Year Around, diretta dal celebre collega ma soprattutto caro amico Charles Dickens.

Il lettore contemporaneo è per fortuna salvo dal patimento dell'attesa alla fine di un capitolo avvincente, e può bearsi di Senza nome nella sue gloriose 800 pagine tutte insieme, presentate in una nuova bellissima veste da Fazi Editore nel 2015.

Credo che una persona normale, sapendo di andare incontro ad un periodo ricco di impegni che lascerà ben poco tempo ed energie da dedicare alle proprie passioni, avrebbe scelto di affrontare letture più brevi ed agevoli; all'inizio dello scorso febbraio invece, io ho guardato le mie librerie e fatto proprio il ragionamento opposto: sarò spesso stanca, stressata e sotto pressione - mi son detta - i momenti che riuscirò a dedicare alla lettura saranno sicuramente pochi, ma voglio che quei momenti mi facciano immergere dalla testa ai piedi in un altrove. Il miglior altrove che mi è venuto in mente, è stata la mia amatissima Inghilterra vittoriana e, memore dell'esperienza più che positiva del mio primo incontro con l'autore, avvenuto leggendo La donna in bianco, ho deciso di buttarmi su Senza nome.


Senza nome è la storia di due giovanissime sorelle - appena diciottenne l'una, di un paio d'anni più grande l'altra -, Norah e Magdalen Vanstone, che dopo un'infanzia ed un'adolescenza come tante, vissute in seno ad una famiglia amorevole nella tranquillità di Combe Raven - questo il nome della grande proprietà che era la loro casa - si vedono catapultare nella vita adulta nel più triste e più violento dei modi. Una serie di sfortunati eventi - è proprio il caso di dirlo - le priva dall'oggi al domani di tutto ciò che hanno sempre avuto e conosciuto: improvvisamente orfane, perdono assieme agli amati genitori anche il nome che avevano fino ad allora portato, e di conseguenza anche tutto ciò che per diritto sarebbe loro spettato - l'eredità paterna, la casa e tutti i beni in essa contenuti. Le figlie pagano loro malgrado le colpe dei genitori, che fino a poco prima di andarsene tragicamente non erano legalmente sposati, all'insaputa di tutti coloro che gli son stati vicini per una vita intera, come Mrs Garth, arrivata a Combe Raven  come istitutrice per le bambine e poi rimasta come governante della casa, ed ora unico punto di riferimento per le giovani Vanstone, relitti infelici di un'esistenza perduta. Mrs Garth si offre di ospitarle presso la scuola diretta da sua sorella a Londra, dove potranno trovare momentaneamente vitto e alloggio e cercare poi un impiego come istitutrici private presso le buone famiglie inglesi.

Norah e Magdalen sono quanto di più diverso si possa immaginare, mi hanno ricordato almeno per quanto riguarda l'opposizione dei caratteri le sorelle austeniane di Ragione e Sentimento: tanto Norah è introversa, controllata e pacata, quanto Magdalen è al contrario esplosiva e preda delle proprie emozioni. Non stupisce quindi che anche alla tragedia subita risponderanno in maniera totalmente diversa: Norah non pensa neanche per un secondo di potersi ribellare o di poter fuggire dalla situazione in cui si trova, e seguendo le istruzioni di Mrs Garth si impegna a fare l'istitutrice privata; Magdalen, invece, non aspetta un secondo prima di fuggire e di cominciare senza neanche avere le idee chiare o un progetto preciso a lavorare per ottenere quello che fin da subito ha sentito essere il proprio dovere: riportare l'eredità paterna nelle legittime mani, ossia le sue e quelle di sua sorella Norah, non tanto per amor della ricchezza, quanto verso quel caro padre che in una lettera vergata poco prima di morire scriveva come non avrebbe potuto riposare in pace se non avesse risolto quella faccenda e non avesse saputo le sue figlie al sicuro da ogni cosa. Tutti i beni paterni sono finiti nelle mani di uno zio che né Magdalen né Norah hanno mai conosciuto, essendo il loro papà in cattivi rapporti con la propria famiglia di origine da prima che loro nascessero; ed è proprio a causa di quegli antichi dissapori che l'anziano zio rifiuta categoricamente di avere pietà delle nipoti, vedendo nell'intera vicenda il meritato risarcimento che secondo lui gli spettava per riparare ai danni causatigli dal fratello minore. 

L'avaro ed anziano zio Vanstone viene ben presto a mancare, ma la situazione non migliora poiché l'eredità passa interamente nelle mani del suo unico figlio, Noel Vanstone, un essere gracile e malaticcio che nutre dei sentimenti solo verso i beni materiali. Rimasto senza il padre, Noel Vanstone continua a vivere con Mrs Lecount, governante di origini svizzere da sempre al loro servizio, intelligente, astuta, malvagia e capace di comandare a bacchetta Noel Vanstone senza che egli se ne renda conto.

Magdalen, nel frattempo, sola nella grande città, viene ben presto rintracciata da un mezzo parente della defunta madre, un capitano che per tutta la vita non ha fatto altro che campare di stratagemmi e di sotterfugi, definendosi un agricoltore morale: un modo elegante per dire furfante di professione. Pur diffidando di tutti, e di quest'uomo in particolare, non avendo posto dove andare od anima viva a cui rivolgersi, Magdalen decide di seguire il capitano Wragge, iniziando così quella che sarà una lunga convivenza con lui e con la moglie, Mrs Wragge, gigantessa buona col cervello un po' lento, che si affezionerà profondamente a Magdalen e che sarà per molto tempo l'unica creatura a smuovere in lei sentimenti sinceri, sempre più dura ed infelice a causa dei passi che si costringe a compiere pur di portare a compimento il dovere che si è auto-imposta.

La parte centrale del romanzo, ed il cuore dello stesso, è un lungo ed inesauribile duello tra due schieramenti: da una parte Magdalen ed il capitano Wragge, dall'altra quel fantoccio di Noel Vanstone manovrato e protetto da Mrs Lecount. In particolare, il capitano Wragge e Mrs Lecount costituiranno l'un per l'altra un degno nemico, come mai ne avevano incontrati in precedenza e si sfideranno a suon di astuzia senza esclusione di colpi. Il movente di Magdalen resta sempre solo ed unicamente rendere giustizia alla memoria dei propri genitori, quello del capitano Wragge è la ricompensa in denaro che gli spetterà per i servizi resi qualora vincano la battaglia - anche se finirà sorprendentemente con l'affezionarsi davvero a Magdalen -, quello di Mrs Lecount è preservare integro il patrimonio del suo padrone per salvaguardare i propri interessi.  



Appena terminata la lettura, mi son resa conto di non sentirmi poi così entusiasta o appagata come mi sarei aspettata, ed inizialmente mi son detta che doveva essere a causa mia, che avevo sicuramente scelto il momento sbagliato per leggere un romanzo così corposo, e che la lettura così incostante e diluita nell'arco del mese doveva averne inficiato il risultato. Poi, con calma, mi sono accorta che non era affatto così e che c'erano effettivamente delle cose che non mi erano piaciute.

Innanzi tutto, Senza nome è troppo lungo. Non l'ho mai detto a proposito di un libro ed è un commento che mi fa quasi orrore mettere nero su bianco, perché per me i libri non sono mai troppo lunghi, specie i grandi classici o quelli di autori che, a prescindere dalla materia, sanno narrare, e Collins è di sicuro tra questi. Però - e credo sia quasi oggettivo - in Senza nome si avverte un qualcosa di troppo: non sarei in grado di prendere dei paragrafi o dei capitoli e dire "di questa parte se ne poteva fare a meno", ma gli intrighi, il continuo tramare da un lato e dall'altro, lo scoprire le carte di qua solo per poi mescolarle e complicare ulteriormente di là o non è abbastanza avvincente da non farmi stancare mai sino alla risoluzione finale, oppure Collins stavolta ha davvero allungato troppo il brodo. Non c'è dubbio che l'originale pubblicazione a cadenza mensile sortisse tutto un altro tipo di effetto, e che forse Senza nome essendo nato per esser letto in quel modo risenta negativamente dell'essere un tomo fatto e finito; tuttavia, ne ho letti diversi di romanzi nati a puntate - tra cui anche La donna in bianco - e non avevo mai riscontrato questo tipo di problema. A questa eccessiva lunghezza si accompagna per contro un finale che ho trovato sbrigativo e troppo semplicistico.

Ancor peggio, dal mio punto di vista, è il fatto che ho avuto l'impressione che Senza nome mancasse totalmente di originalità, e questo è stato l'elemento che mi ha delusa più di tutto, perché La donna in bianco  si regge su una narrazione geniale che non fa che stupire il lettore ad ogni svolta sino alla fine. Mi sono chiesta se sono io ad aver accumulato troppa esperienza con questo tipo di romanzi e che ormai conosco certe dinamiche come le mie tasche, o se Senza nome è effettivamente fuori tempo massimo per poter stupire il lettore contemporaneo. Fatto sta, che tutti i risvolti di trama importanti mi erano chiari fin dal primo accenno e mi hanno quindi lasciata abbastanza tiepida o indifferente. L'unico evento che effettivamente non mi aspettavo (spoiler: la morte di Noel Vanstone) è avvenuto a) troppo, troppo repentinamente e b) è lampante che all'autore questo evento servisse per mandare avanti la trama ed è quindi niente più che una scelta di comodo.

Infine - e questo è un pensiero molto soggettivo - a me è dispiaciuto perdere di vista personaggi presenti solo nella parte iniziale - quella ancora ambientata a Combe Raven - di cui si avranno per il resto del romanzo solo sporadiche notizie. Mi riferisco ad esempio a Mr Francis Clare, uno dei pochi vicini di casa che nonostante la propria misantropia non era riuscito a resistere all'affabilità di Mr Vanstone, il padre di Norah e Magdalen, col quale era nata discussione dopo discussione una bellissima e bizzarra amicizia. Mr Francis Clare è un filosofo cinico ed aveva tutte le carte in regola per essere uno dei miei personaggi preferiti, se non fosse appunto che ha pochissimo spazio. La sua sparizione dalle pagine è ovviamente giustificata dalle circostanze, poiché le protagoniste allontanandosi da Come Raven perdono i contatti con tutto ciò che resta lì, compreso Mr Francis Clare. Molto meno sensato, secondo me, è la pochissima attenzione data al personaggio di Norah. Magdalen si fa certo protagonista di avventure ben più avvincenti, e capisco che Collins abbia voluto puntare su di lei la luce del palcoscenico; tuttavia, io ero molto interessata a Norah nella prima parte del romanzo, e credo che sarebbe stato più interessante alternare i capitoli facendoci vedere anche come se la stava passando lei nel frattempo. Anche perché, seppur la sua quotidianità poteva essere più normale e meno ricca di eventi, Norah ha subito gli stessi identici traumi e le stesse ingiustizie subite da Magdalen e tra le due fa una scelta non meno difficile: in fin dei conti si tratta di una ragazza che dopo una vita nella bambagia accetta di tirarsi su le maniche e inizia a fare i conti con un mestiere non semplice, avendo a che fare con bambine viziate o famiglie pronte a criticare ogni suo gesto. Insomma, secondo me dedicare un po' di spazio in più a Norah avrebbe alleggerito anche quella sensazione di eccessiva lunghezza di cui parlavo prima, data forse dal fatto che alla lunga le scaramucce tra il capitano Wragge e Mrs Lecount stancano.

Quindi, in definitiva, Senza nome è un brutto romanzo? No, certo che no, sempre perché Wilkie Collins è autore abilissimo, tanto nell'uso delle parole quanto nella costruzione delle trame e nella caratterizzazione dei personaggi. Certo è che non consiglierei mai a qualcuno che vuole avvicinarsi alla sua bibliografia per la prima volta di cominciare da questo titolo: La donna in bianco è cento volte superiore in tutto, comprese le tematiche di fondo. In Senza nome, infatti, si nasconde una denuncia sociale, quella della condizione dei figli illegittimi che - come accade a Norah e Magdalen Vanstone - non avevano alcun diritto secondo la legge vigente all'epoca in Inghilterra. Come ben sappiamo, Collins era un avvocato che non esercitò mai la professione, ma fece largo uso delle competenze giuridiche acquisite all'interno dei propri romanzi. In questo senso Senza nome non fa eccezione, ma purtroppo non è riuscito a farmi capire fino in fondo la gravità del problema che intendeva denunciare, perché mi sembra di aver ricevuto al riguardo troppe poche informazioni, o di essermi distratta troppo con la vicenda delle protagoniste col risultato che anche la questione dei diritti degli illegittimi mi pare un espediente narrativo, più che un grave danno realmente vissuto all'epoca - e sicuramente non solo - da molti individui.

Il mio apprezzamento per la penna di Collins non è diminuito dopo questa esperienza poco entusiasmante. Del resto è stato un autore talmente prolifico che qualche basso nella sua produzione non fa che renderlo umano. A buon rendere, caro Wilkie!






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