lunedì 23 marzo 2020

E' stato così, Natalia Ginzburg

Due anni fa lessi finalmente il più famoso romanzo di Natalia Ginzburg, Lessico famigliare, e sfiderei qualsiasi lettore - specie se amante della miglior letteratura nostrana - a restare indifferente - per non dire a non innamorarsi perdutamente - della prosa della Ginzburg, ma soprattutto del suo sguardo sul mondo, della sua sensibilità, della sua capacità di riassumere entro il confine delle parole il sapore di un'intera epoca, la grandezza di una persona o i suoni di una casa. In Lessico famigliare l'autrice racconta non la sua vita, quanto le cose e le persone e i rumori ed i colori che le son stati attorno, quasi che lei fosse una spettatrice incaricata di restituirci i vezzi, gli accenti, le abitudini, i pregi ed i difetti delle personalità che la circondavano. E ciò che la circondava non era solo la famiglia d'origine, già di per sé interessantissima, ma anche ad un certo punto una certa famosa casa editrice torinese, da sempre vestita in bianco, ed ecco che allora la Ginzburg ci fa il regalo più grande, raccontandoci come camminava Cesare Pavese, della sua abitudine di mangiar ciliegie d'estate e dei discorsi che si tenevano alla sera tra lui, il marito Leone Ginzburg e altri nomi di spicco della cultura italiana. Ma questa è un'altra storia.

Un'altra storia fino ad un certo punto, perché è difficile separare il nome della Ginzburg da quello di Pavese, se non altro per il fatto che furono non solo contemporanei, ma per lungo tempo colleghi nelle stanze dell'Einaudi, scrivendo e leggendo ognuno alla propria scrivania a distanza di un tiro di schioppo. Forse per questa vicinanza, forse semplicemente perché figli dello stesso tempo, forse perché le loro opere furono spesso pubblicate a poca distanza l'una dall'altra, ma più di una volta i loro lavori vennero comparati, messi a confronto, giudicati l'uno in relazione all'altro: è il caso, ad esempio, di E' stato così e Il compagno di Pavese (sul quale, non avendolo letto, non posso dire la mia). Nonostante questo, tra Pavese e la Ginzburg non ci fu mai competizione, furono anzi legati da profonda amicizia e la sua scomparsa fu per Natalia un altro dei tragici eventi che colpirono la sua vita privata. Cesare Pavese fu tra i primi a promuovere E' stato così, secondo romanzo da lei scritto, raccomandandolo per una pubblicazione a puntate sul quotidiano romano L'Italia Socialista, proprio a scapito de Il compagno originariamente scelto dal direttore Aldo Garosci. Scrisse Pavese:
Caro Garosci, | ti abbiamo telegrafato di pubblicare Natalia. (...) oltre al fatto che Natalia ha tre figli da mantenere e io no, ci è parso - oggettivamente - che sia più opportuno un racconto dove il lettore dimentichi la politica (...) Sono anche certo che E' stato così servirà a far leggere il giornale a gente che normalmente non lo leggerebbe.
 E' stato così è un monologo in prima persona. La voce è quella di una donna ed una delle prime frasi che si leggono è: "Gli ho sparato negli occhi."
Ad essersi preso quel colpo di pistola è Alberto, marito della protagonista e voce narrante, che resterà per tutte le 84 pagine soltanto una voce. Lei non si presenta mai, se non attraverso la sua storia, e resterà una figura di donna senza nome. A proposito di quel colpo di pistola, la Ginzburg scrisse nel 1964: "Il colpo di pistola è nato dal caso. Desideravo scrivere e trovai un colpo di pistola, e gli andai dietro." (Che meraviglia questo modo di raccontare un'ispirazione, la scelta del verbo trovai in questa frase mi ha incantata per giorni). In una conferenza tenuta nello stesso anno, disse che la scelta di aprire il romanzo con un atto di violenza fu dovuta probabilmente all'atmosfera del momento, e che se per qualche motivo avesse dovuto riscriverlo non era affatto certa che la protagonista avrebbe sparato quel colpo. Il romanzo è infatti del 1947, non solo l'immediato dopoguerra ma anche tre anni appena dopo la morte del marito Leone, ucciso nel carcere romano di Regina Coeli in seguito alle percosse subite dai carcerieri nazisti. E questa morte tragica e brutale fu solo la conclusione di anni difficili, fatti prima di confino e poi di prigionia. Dal giorno del suo arresto, avvenuto il 20 novembre 1943, a quello della morte (5 febbraio 1944) Natalia non vide più suo marito. 

Dopo un breve periodo a Roma, Natalia era tornata a vivere a Torino:
Avevo ritrovato Torino, la nebbia, il grigio inverno e i muti viali dalle panchine deserte. Questo racconto E' stato così lo scrissi tutto nella sede della casa editrice dove allora lavoravo. Era subito dopo la guerra e c'erano stufe di terracotta molto fumose, perché gli impianti dei termosifoni, distrutti nella guerra, non funzionavano ancora. Questo racconto è intriso di fumo, di pioggia e di nebbia.
E dice poi, riguardo il proprio stato d'animo mentre scriveva:
Mentre scrivevo non mi curai di sapere se nella donna che dice "io" c'ero o non c'ero io stessa. Perché ero molto infelice e lasciavo che la mia infelicità pascolasse dove le pareva. (...) non si trattava per me di diventare meno infelice, ma di riuscire a scrivere a malgrado della mia infelicità (...).
Natalia Ginzburg

Per il lettore, quel colpo di pistola sparato nella sesta riga della prima pagina è il punto di sutura del racconto, perché per tutte le pagine che seguono sarà consapevole di come si concluderà quel matrimonio di cui la protagonista vuole ora con calma spiegarci e spiegarsi tutto - da come erano i suoi giorni prima di incontrare Alberto, a come è nata quella specie di affetto a forza di passeggiare e sedere assieme nei caffè, a come diventarono marito e moglie e come arrivò, lei, a sparare quel colpo. La protagonista esce di casa lasciando dov'è il corpo senza vita del marito, va a sedersi su una panchina nel parco, cammina, entra in un bar e prende un caffè, torna alla panchina; e intanto, per quelle che devono essere ore lunghissime, dispiega mentalmente tutta la propria storia - così che saprà farsi ascoltare quando poi andrà in questura, dove chiederà che la lascino parlare. Ma forse, in realtà, è solo a se stessa che ha bisogno di raccontare tutto per filo e per segno.

Questo espediente narrativo ha creato sin dall'inizio un parallelismo nella mia mente, quello con La mite di Dostoevskij. La differenza è che nel racconto dell'autore russo, all'incirca della stessa lunghezza di E' stato così, il narratore - che è un uomo - non ha ucciso la moglie, almeno non nel vero senso della parola: di molti anni più giovane di lui, e con una vita miserevole alle spalle, la mite si è suicidata, lasciando il marito a raccontarsi il loro rapporto da cima a fondo in cerca di una spiegazione per quella fine violenta, proprio come fa la protagonista della Ginzburg.

Ridotta all'osso, la storia di E' stato così è quella di un matrimonio sbagliato come tanti, partito con i presupposti sbagliati, che sembra un triste fatto di cronaca come al telegiornale se ne sentono purtroppo ogni giorno - quei casi in cui poi intervistano i vicini di casa ed i baristi del quartiere che sottolineano quanto i coniugi tal dei tali fossero una bella coppia, due persone così gentili, normali e nessuno si spiega come possano essersi un bel giorno annientati a vicenda. Se scavassero a fondo sotto anni di quotidiana infelicità, come fa la Ginzburg in queste pagine, potrebbero forse intravederne le ragioni - che non servono a giustificare, ma soltanto a spiegare.


La grandezza di E' stato così sta - oltre che nello stile della sua autrice - nella costruzione psicologica dei personaggi. La Ginzburg non fa descrizioni precise e minuziose, né dell'aspetto fisico né dei tratti caratteriali. Ad esempio di Alberto, nelle prime pagine, la protagonista dice:
(...) e mi tremava il cuore ogni volta che vedevo un uomo piccolo con un impermeabile bianco e una spalla più alta dell'altra.
E poi:
(...) e i riccioli grigi intorno al viso magro e il piccolo corpo gracile nell'impermeabile bianco che andava nella città.
E' tramite la ripetizione di questi dettagli - i riccioli grigi, il corpo gracile, l'impermeabile bianco - che il lettore riesce ad immaginare quanto basta la figura di Alberto. La Ginzburg ne tratteggia abilmente i contorni, perché essendo lui un irresoluto, un carattere interno ben definito non ce l'ha. Alberto è un irresoluto in tutto: da sempre innamorato di un'altra donna, Giovanna, già sposata quando si sono conosciuti, resta in balia di questa situazione, sostanzialmente aspettando che lei gli faccia un fischio per stare insieme; inizialmente rifiuta l'amore della protagonista sostenendo di non potersi legare a nessun altra donna, poi torna sui suoi passi - forse per ripiego o forse per avere anche lui, come Giovanna, una vita sua dalla quale escluderla - ma continuando, anche da sposato, a dividersi tra Giovanna e la moglie, mentendo in continuazione a se stesso e agli altri, senza costruire nulla di vero né da una parte né dall'altra. E la stessa irresolutezza vale per tutto il resto:
Disegnava ma non era mai diventato pittore e suonava il pianoforte ma non gli era mai riuscito di suonar bene, era avvocato ma non aveva mai avuto bisogno di guadagnarsi da vivere e per questo se anche non andava all'ufficio non poteva succedere niente di grave.
La protagonista, dal canto suo, non è in fondo tanto più forte o determinata di lui. Appare al contrario una di quelle persone che, essendo incapaci di far accadere le cose, si lasciano trasportare dagli eventi e dalle decisioni degli altri, covando rancori e dispiaceri in maniera passivo-aggressiva fino ad arrivare a situazioni estreme, come quella di impugnare una rivoltella e sparare. Non era sicura che Alberto le piacesse, ma continua a frequentarlo perché era meglio che star sola alla pensioncina dove aveva una camera in affitto; aveva il doppio dei suoi anni, se pensava di baciarlo o andarci a letto l'idea la ripugnava, ma si diceva che forse all'inizio è così per tutte le ragazze. Sapeva bene che c'era un'altra donna nella sua testa e che difficilmente avrebbe potuto scacciarla, ma si rassegna a chiudere un occhio sulle tante misteriose partenze del marito, continuando in silenzio ad avvelenarsi il sangue.

 Di tutt'altra pasta è fatta sua cugina Francesca, di diversi anni più giovane ma con parecchia più esperienza del mondo e soprattutto degli uomini. Lei sarà la prima - ed unica - a non vedere di buon occhio quel rapporto e consiglierà alla protagonista, ogni volta che potrà, di lasciarlo perdere. Inutile dire che non verrà ascoltata e le due cugine avranno, proprio per questa differenza di mentalità, un rapporto fatto di alti e bassi, pur costituendo una sorta di punto di riferimento l'un per l'altra. Francesca è un personaggio originale e variopinto all'interno del racconto, che rappresenta la modernità:
- Ho avuto molti amanti, - ha detto, - prima uno a Roma quando mi provavo a recitare. Mi ha chiesto di sposarlo e ho tagliato la corda. Non lo sopportavo più dopo un paio di volte. L'avrei buttato giù dalla finestra. Ma allora ero spaventata di me. Dicevo: cosa diavolo sono? una puttana sono, che mi piace tanto cambiare? Fanno molta paura le parole quando siamo giovani. E anch'io credevo allora che mi ci volesse un marito e una vita come tutte le donne. Ma invece a poco a poco ho capito che non bisogna pigliare le cose sul tragico. Dobbiamo accettare noi stessi così come siamo.
Infine c'è Augusto, migliore amico di Alberto con cui la protagonista potrà aprirsi più che col marito benché all'inizio tra i due non vi fosse simpatia; e persino la misteriosa Giovanna farà la sua apparizione sulle pagine, dicendo una delle cose più sagge contenute nel libro:
E' difficile sapere cosa vogliamo e siamo scemi da giovani.
E la vita comincia che siamo troppo giovani per capire.
Sebbene si conoscano in partenza certi eventi salienti, altre esperienze intercorrono nel racconto, esperienze cariche di speranze che si trasformano invece in sciagura, preparando il campo ad un tragico epilogo che pure si è rivelato diverso da quanto mi aspettavo.

Ottantaquattro pagine sufficienti a contenere una tragedia, un dramma familiare in un atto solo. La scrittura di Natalia Ginzburg si conferma bellissima, di quelle che proprio piacciono a me, capaci di costruire intere e nitide immagini usando soltanto e sapientemente la potenza dei dettagli.



Un abbraccio,
a qualche metro di distanza.

Julia







4 commenti:

  1. Anch'io ho amato molto la Ginzburg di Lessico famigliare. Mi piace l'idea di fondo, questo lessico tutto originale che caratterizzava la sua famiglia, e di cui riesce a raccontare in modo così ironico e coinvolgente.
    A suo tempo, leggendo la biografia della scrittrice, di cui accenni tu nel post, mi piacque molto questa gioventù di intellettuali, grandi nomi in quella superba casa editrice che ha fatto la storia, insieme a poche altre, dell'editoria italiana. Immagino il fervore di quegli anni, il senso dell'amicizia, gli ambienti brulicanti di idee e idealismi. E quel fascismo che si abbatte su tutto questo.
    Il romanzo che recensisci mi incuriosisce non poco, percepisco una certa modernità, non solo nel tema, ahimè per altro attualissimo, ma anche nell'approccio alla materia. Dovrò procurarmelo.

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    1. Condivido in pieno, anche io non appena ho iniziato ad indagare e scoprire la nostra (bellissima) letteratura novecentesca sono stata irrimediabilmente attratta in particolare dagli intellettuali einaudiani. C'è un'atmosfera particolare, un ambiente come dici tu "brulicante di idee e di idealismi". Talvolta sono affascinata più dalle loro vite e dai loro pensieri che dai libri che hanno scritto, ma i libri - almeno quelli letti finora - non mi hanno mai delusa. Della Ginzburg penso valga la pena di leggere ogni cosa, perciò ti consiglio senza riserve di recuperare questo titolo!

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  2. Una delle cose che apprezzo di più nel leggere le tue recensioni è quella sensazione di sazietà che ti lasciano: tu non racconti solo il romanzo e le tue impressioni, ma approfondisci ciò che c'è dietro, la vita dell'autore, gli intrecci con altre figure e i tratti salienti che si spandono poi anche sull'opera che scrive. Alla fine della lettura, io personalmente ho voglia di leggere il romanzo da te così delicatamente approfondito e mi sembra di avere anche qualche strumento in più per poterlo apprezzare meglio. In poche parole, si sente tutta la tua immensa passione per la letteratura. :)

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    1. Questo mi fa immensamente piacere <3
      Non so nemmeno da dove nasce questo bisogno di far così, forse in parte dalla mia inesauribile curiosità verso il mondo letterario e dalla mia ambizione di saperne il più possibile, ed in egual misura da un timore di farmi sfuggire qualcosa, di fare un torto all'opera fraintendendola per ignoranza o disattenzione. E allora cerco, studio, mi informo come e meglio che posso. Ed a quel punto, non mi resta da far altro che tentare di restituire un po' di tutto ciò che mi riempie, prima che il vaso trabocchi. Non sono mai pienamente soddisfatta di quanto trasporto sulla pagina, ho quasi sempre l'impressione che l'opera trattata meritasse meglio e di più; ma ciò che mi hai scritto in questo commento mi rincuora e soddisfa non poso, perciò grazie mille :)

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