E' vero che non mi trovo di fronte ad un pubblico in carne ed ossa, sola sopra un palco e con un microfono in mano, ed è vero anche che sono sempre meno le persone che ancora decidono di dedicare il proprio tempo a leggere attentamente blog come questo, ormai passati di moda, figuriamoci quelli la cui autrice è incostante come me; eppure, tutte le volte che manco per un po' o che faccio disordine, come se veramente questa pagina fosse la mia stanza, in cui nessun altro dovrebbe entrare, mi sento poi in dovere di spiegare cos'è successo, di spendere anche solo qualche riga per rimettere le cose a posto prima di tornare a più alti argomenti. Non sono proprio a capace a comportarmi - e scrivere - come nulla fosse, mi sembrerebbe quasi una mancanza di rispetto, forse anche verso i libri stessi prima ancora che verso i miei eventuali e preziosi lettori.
Certo non è semplice raccontare il periodo che sto attraversando, come forse avrà dedotto chi ha letto il mio post precedente. La pausa forzata dovuta al coronavirus sta avendo per me un effetto benefico, perché è come se dopo settimane e settimane di tempesta per la prima volta stesse tornando nella mia testa frastornata la calma, e con essa la lucidità e la capacità di riflettere. Venerdì mattina, ad esempio, mentre stendevo il bucato ho pensato che quest'epoca mi ha confuso. Uno di quei pensieri che una volta che li esprimi a parole o li metti su carta sembrano niente di che, ma nel momento in cui per la prima volta ti si erano accesi dentro come un'insegna al neon in una strada buia ti colpiscono con una forza che momentaneamente ti stordisce. Un pensiero fatto di cinque parole, che riassume dentro di sé una matrioska di ragionamenti che non ho neanche avuto bisogno di spiegarmi, mi son stati chiari - tutti insieme - all'istante come se ci avessi speso giorni di analisi, studio e riflessioni. Dentro c'è il fatto che sono nata all'inizio degli anni '90, che ho avuto in mano il primo game boy, la prima play station, ma prima di questo mi son dovuta inventare storie su storie per rendere interessanti le bambole e le Barbie che altrimenti stavano lì ferme senza dire e fare nulla; mi sono arrampicata sugli alberi, sbucciata le ginocchia giocando a pallavolo, mosca cieca, nascondino e tutto il resto, ho attraversato estati che diventavano tanto interminabili da non veder l'ora che a settembre ricominciasse la scuola pur di sfuggire alla noia che ormai mi esauriva. Ho letto tanto fin da bambina, perché i cartoni animati c'erano solo mezz'ora al giorno. Il primo pc comparso in casa era talmente lento che quasi scoraggiava all'uso e le attività più eccitanti che poteva offrire erano Paint e Microsoft Words: in poche parole, disegnare e scrivere. Il mio primo cellulare l'ho avuto a dodici anni circa, ma solo perché dato che ne esisteva la possibilità mia madre voleva potermi contattare quando ero fuori casa, e comunque era un cellulare che non aveva altre funzioni se non quella di telefonare e mandare/ricevere sms, nient'altro.
Insomma, a cosa serve questo panegirico nostalgico sui bei tempi andati? A nulla, certo, se non a spiegarmi la difficoltà, la fatica e la frammentarietà che sta rendendo così difficile la vita a molti della mia generazione. Siamo svelti con la tecnologia, è vero, ma non l'abbiamo avuta in mano sin da quando ci siamo resi conto di averne un paio e questa è - secondo me - la nostra più grande ricchezza ed uno dei nostri peggiori svantaggi. Abbiamo studiato su libri fatti di carta, scritto su quaderni fatti di carta, andando in giro per tutta la nostra vita scolastica con le dita sporche di inchiostro rosso e blu. I nostri professori non si sarebbero mai sognati di darci i compiti su una chat di gruppo, e questo poneva dei limiti e delle distanze oggi sconosciute. Ancor peggio però è che, le cose che accadono oggi, appena qualche decennio fa non si immaginavano neppure.
Non esistevano i social, e non esisteva di conseguenza quella velocità, quella rapidità che oggi definisco violenta e che si è mangiata proprio tutto: la qualità di ciò che viene proposto, la durata della popolarità di cose e persone, la pazienza e la capacità della gente ormai totalmente disabituata a dedicarsi a qualcosa per più dei canonici 15 secondi o 120 caratteri; sono tanti i ragazzi della mia età o più grandi che sarebbero in totale disaccordo con quanto scrivo, essendo stati in grado al contrario di prendere il meglio da ciò che questa rivoluzione delle abitudini del mondo aveva da offrire, trovando in tutto questo proprio il mezzo più utile e più potente per sviluppare e far conoscere le proprie capacità ed i propri talenti. Ma c'è anche chi, come me, sapeva usare solamente la penna e la carta (per fare un esempio) e trovandosi catapultato in questo nuovo mondo in cui chiunque sembrava avere tutte le possibilità del caso a patto di sapersele creare e prendere, ha tentato di uscire dal proprio microcosmo, salvo poi rendersi conto di non essere capace di farsi strada in un oceano di profili e contenuti governati da leggi invisibili ed incomprensibili, dove avere effettivamente qualcosa da dire conta, ma in maniera spesso piuttosto relativa.
Allora cosa si fa, si fa un passo indietro con l'impressione che si è ormai in quattro gatti a non essere in grado di cavalcare quest'onda pazzesca, e ci si guarda demoralizzati e perplessi con una domanda stampata in faccia: ed ora che me ne faccio di tutte quelle parole che avevo ancora da riversare? Sto immaginando una spiaggia di notte, sulla riva ci sono io e poche altre persone che conosco e che mi vengono in mente - qualcun altro che ha un blog e scrive in maniera strepitosa eppure ha pochissimi lettori e commenti, così come altre persone col cervello in fiamme, che non hanno ancora avuto il proprio momento - ce ne stiamo lì, al buio, a guardare l'acqua che s'avvicina e poi si ritrae. Nessuno la dice ad alta voce, ma la risposta è inequivocabilmente quella. Niente, non ce ne facciamo assolutamente niente.
Mi rendo conto che letto con certi occhi questo può sembrare solo il vaneggiamento di una povera sciocca che voleva far delle cose ed ora passa il proprio tempo ad invidiare chi c'è riuscito. Ma non è così perché, ad esempio, verso i social non ho mai nutrito alcun interesse se non nella piccola speranza di far arrivare quel che scrivevo qui almeno un po' più in là; mi scoraggia anzi, e confesso di trovarlo anche frustrante, il fatto che oggi sia sostanzialmente quello il modo di far sentire la propria voce e che se non si possiede la dovuta dimestichezza nel loro utilizzo è ancor più difficile di quanto fosse in passato farsi avanti attraverso altre strade. Forse me lo sono immaginato, ma è come se crescendo in quel tempo così vicino eppure lontanissimo, governato da tutt'altri standard e parametri, mi fosse stata fatta una promessa che è poi stata completamente cancellata come non fosse mai esistita, ed io fossi l'unica a ricordarmene e per questo guardata come se fossi strana e un po' matta. E' da questa sensazione assurda e molto difficile da spiegare - credo - che nasce la mia ferita più complessa.
Ed è da tutto questo che mi sono ritratta, è per questo che il mio blog non ha mai avuto una continuità o una direzione univoca; perché non ho mai avuto il coraggio e la serenità di essere semplicemente me stessa, limitandomi a fare quel che da sempre è stata l'unica cosa che mi interessava fare: scrivere. In continuazione ho cercato di condire quel che ero io con ciò che vedevo in giro e che sembrava funzionare, perché se altri mossi dalle mie stesse passioni ed interessi riuscivano a farne una qualche forma di mestiere, davvero non poteva capitare anche a me? Certo che no, perché non ci ho mai creduto sul serio. Io sono un'altra cosa, decisamente fuori moda, e intuendo il pericolo del cervello in fiamme dentro una stanza chiusa ho lasciato che quest'epoca mi confondesse, peggiorando solamente le cose. Basta guardare la storia di questo blog, nato dopo averne chiusi svariati altri in preda a febbrile insoddisfazione: ci sono progetti annunciati e mai veramente avviati, rubriche che promettevano cadenze regolari sopravvissute a malapena alle prime pubblicazioni. Ero mossa sì da interessi e stimoli personali e genuini, ma anche dalla voglia, dalla speranza, dal bisogno di avvicinare altri a ciò che proponevo. Non perché in cerca di una notorietà che non mi sono mai e poi mai sognata di avere, ma solo per quella necessità di comunicare che mi ha contraddistinta fin da quando ne ho memoria, e che non si è mai manifestata in altro modo che la scrittura - questo, sicuramente unito ad anni difficili in cui la mia definizione e realizzazione come persona invece che consolidarsi non ha fatto altro che sbrindellarsi e sbiadire sempre più, portandomi a cercare in maniera quasi disperata una definizione di ciò che sono almeno tramite la parola scritta, sperando in un riconoscimento esterno, anche anonimo, che non avevo modo di cercare altrove.
Un bel casino, insomma, di cui anno dopo anno ho cominciato a sentirmi sempre più stanca. C'è stato un momento in cui ho avuto una fase di astio totale verso l'attività del blogging, in cui ho pensato che era infine giunto il momento in cui avrei smesso definitivamente di fare questa cosa che è quasi un vizio da quando avevo solo quattordici anni. Mi sono distanziata da tutto, dal blog ed anche dai libri, con la sofferenza di sentirmi rifiutata dal mio stesso mondo senza neanche sapermi spiegare sino in fondo perché. Mi sono rifugiata nella carta, un posto molto più semplice dove non c'è motivo di nutrire inconsce ambizioni, dove non era necessario modificarsi, limitarsi o nascondersi. E piano piano, forse mi sono fatta strada attraverso tutte le sovrastrutture ed i filtri che la confusione, l'ansia, la voglia di fare unita al rammarico di non riuscire mi avevano portato a mettere tra me e tutto il resto, comprese le parole.
Talmente mi sono sentita oppressa dalla sovraesposizione che ho fatto l'esatto opposto, ritraendomi più di quanto avessi mai fatto prima e custodendo gelosamente quello che continuo a chiamare "il mio mondo". Leggevo, sì, ho letto molte cose belle, alcune importantissime, di cui non solo non ho scritto qui né da nessun altra parte, ma di cui non ho neanche parlato con nessuno. Non ho annoiato il mio ragazzo riassumendogli le trame o analizzando ad alta voce i comportamenti dei personaggi, non ho mandato messaggi vocali da quindici minuti ad una cara amica che puntualmente mi accusa gioiosamente di scombinarle i piani di lettura né ho avuto molta voglia di sapere cosa gli altri stessero leggendo in quel momento. In una maniera ferocemente istintiva, alla quale neppur volendo avrei saputo ribellarmi, mi sono costruita attorno una fortezza con la sensazione che non avrei più trovato la voglia o il bisogno di uscirne. Ed effettivamente, non sono né la voglia né il bisogno i motivi per cui sto rimettendo fuori il naso.
Ho capito che la fortezza mi serviva per ritrovare il più intimo piacere della lettura, quello che mi muoveva da ragazzina e che negli ultimi anni era stato intaccato, sporcato da troppe influenze spesso contraddittorie che non c'entravano niente. E l'ho capito nel momento in cui per motivi di dovere mi sono avventurata più fuori che mai dalla mia comfort zone e più la nuova routine cominciava a schiacciarmi, più forte si faceva dentro di me la voce che diceva che soltanto i libri e le parole potevano salvarmi. Così, sulla carta, ho scritto a volte dei libri belli che leggevo.
Sono giorni ormai che mi risuona nella testa Franco Mari, che in Storia del nuovo cognome dice a Lenù: "Tu devi studiare sempre, Elena", intendendo che qualunque cosa le passi tra le mani - un articolo di giornale, un romanzo, un saggio - lei non deve limitarsi a leggere ma lo deve studiare. Mi risuona nella testa perché è in fondo quello che ho sempre preteso da me stessa e che, ad un certo punto, mi son chiesta: ma a che cosa serve? Nei momenti di stanchezza e di sfiducia è stato inevitabile chiederselo, perché studiare è faticoso, richiede impegno, e perché impegnarmi tanto nella lettura che dovrebbe essere un semplice passatempo, verso cosa sto tendendo con tutto questo impegno, a cosa serve. Credo sia lecito chiederselo, e credo che si esca molto più integri e padroni di sé da questo conflitto quando si è in grado di rispondersi: a nulla. Perché è vero, non c'è un obiettivo pratico o utile da raggiungere, nessuno mi darà alcun riconoscimento per la mia conoscenza della letteratura inglese, non riceverò applausi né medaglie per le annotazioni a margine dei miei libri e per le pagine fitte di intuizioni e riflessioni che riempiono i miei quaderni. Non serve a niente, se non per il puro e semplice bisogno e piacere di farlo. In tutto questo tempo, quando ho letto ho letto e basta, senza impegnarmi oltre, senza analizzare a fondo, senza ricercare e scandagliare. E' servito a rilassarmi, certo, ma è come se nel frattempo stessi al mondo senza percepirmi. Gli altri mi vedono, io non mi sento messa a fuoco, e ogni giorno è uguale all'altro senza lasciarmi addosso alcun segno. Sabato, mentre terminavo il romanzo che stavo leggendo, dopo moltissimo tempo avevo di nuovo in mano una matita - è una sciocchezza, ma è sintomo di una differenza notevole.
Tra i motivi che mi rendono fuori moda c'è che, se mi lascio andare, scrivo troppo come avrà notato chiunque abbia deciso di continuare a leggere questo post, e questa era una delle cose che ho sempre provato a limitare e contenere. Forse è solo il benessere dato da questi giorni di riposo, forse è la bellezza di queste prime giornate primaverili, ho sempre molta paura a lasciarmi andare a sensazioni che paiono troppo rosee e positive. Non faccio promesse, né a voi né a me stessa; diciamo solo che sarebbe molto bello se dopo tutto questo marasma di idee e sentimenti io stessi davvero trovando il tiro giusto almeno per questo spazio, almeno per creare un ponte un po' più solido e bello da attraversare tra il mio mondo e chi ha voglia di farci dentro un salto. Sarebbe davvero bello se fossi riuscita a riappropriarmi di quel piacere intimo e sincero per la lettura, se fossi in grado di studiare i miei libri senza tormentarmi, se la mia testa ricominciasse ad andare in fiamme ed imparassi finalmente a giocare col fuoco piuttosto che a lasciarmi bruciare.
Ho la sensazione, almeno oggi, che se tutto questo fosse possibile la mia voce scritta sarebbe diversa - lo stesso timbro, ma più calma, più piacevole da ascoltare.
La prossima volta vi parlo del libro finito di leggere sabato sera.
Julia
Sai, Julia, è facile cadere nella tentazione di affidare a queste pagine virtuali il segreto ultimo di un Sè che cerca mezzi per esprimersi. Comprendo perfettamente questa esigenza, così come posso capire che si vivano momenti particolarmente critici, in cui ci si sente smarriti, senza la bussola.
RispondiEliminaTu sei giovane, sono come segmenti di vita in cui le persone sensibili affondano, prima o poi. Poi con l'andare degli anni le cose cambiano, si acquisisce una certa lucidità, se vuoi anche un pizzico di cinismo.
Nelle tue parole vedo tanto della me stessa in età giovanile, la mia Sè alla quale, se la guardo a distanza di anni, dico: "hai pensato troppo, elucubrato troppo, te la sei presa troppo. Stai tranquilla, andrà tutto bene". Avrei serbato con cura tante energie. Queste parole le giro a te, mi permetto di rivolgertele pur senza entrare nel merito di questa stanchezza.
Forza, Julia, c'è una bellezza imprescindibile in tutte le cose, quelle che sappiamo cercare per noi stesse, adeguate a noi.
Ciao, Luz :) grazie per esserti sorbita questo papirone immenso, intanto. Ammetto che sono insicura su cosa rispondere, da una parte la cosa più intelligente da dire mi sembrerebbe solo che farò tesoro di queste tue parole, che ci rifletterò. Posso anche aggiungere che non faccio fatica a credere a quanto dici, perché già ora potrei dire qualcosa di simile alla me di dieci anni fa. Tutto passa, tutto cambia, si evolve, tutto è temporaneo. Lo so bene. E' che so di essere ancora giovane, ma alla soglia dei trent'anni non sono certo più una ragazzina, e tutto comincia ad avere un certo peso. Per ora prendo una cosa per volta, un giorno alla volta, facendo attenzione a non perdermi più di quanto non mi sia persa già.
EliminaHai ragione, c'è una bellezza imprescindibile in tutte le cose.
Un abbraccio <3