Gli anni della
leggerezza, il primo volume della Saga
dei Cazalet dell’autrice inglese Elizabeth Jane Howard, fortunatamente
riscoperta dalla Fazi negli ultimi anni, era nella mia wishlist per i regali dello scorso Natale. Ci pensò mia madre a
regalarmelo, ma nonostante fossi curiosissima di scoprirne i contenuti, ci è
voluto un bel po’ di tempo prima che mi dedicassi a leggerlo. Un po’, immagino,
perché era uno dei romanzi più in voga del momento, in parte solo perché
aspettavo l’ispirazione giusta. Quando questa è arrivata – se non ricordo male
a Settembre – Gli anni della leggerezza
l’ho divorato in pochissimo tempo, a dispetto delle sue seicento e passa
pagine. Tuttavia non ne ho lasciato traccia qui sul blog, e nemmeno sul mio
profilo di Anobii. Il motivo è semplice: mi era piaciuto tantissimo, sì, ma
faticavo ad immaginare di spiegarne il perché in un commento che valesse la
pena diffondere. Sentivo che se mi fossi cimentata nel tentativo di raccontare
le mie impressioni il risultato sarebbe stato banale, superfluo, vuoto rispetto
a ciò che in realtà il libro mi aveva trasmesso. Perciò ho preferito lasciar
stare, ho preferito rifletterci su per conto mio, cercando di approfondire tramite
qualche ricerca ed il ricordo ancora vicino dove si nascondesse la grandezza
della scrittura della Howard.
Penso che ormai tutti abbiate sentito parlare dei Cazalet,
tanto che non mi sento in dovere di raccontarvi qualcosa della trama; ma non
posso commettere l’errore di dar per scontato che davvero ognuno di voi sappia
di cosa sta parlando quando si nomina la famiglia nata dalla penna della
Howard, perciò almeno una veloce spiegazione ve la devo. La saga dei Cazalet, che si articola in più volumi, racconta le
vicissitudini di una famiglia inglese alto-borghese, proprietaria di una ditta
di legname, a cavallo tra le due Grandi Guerre. Nel primo volume la paura che
scoppi il secondo conflitto mondiale si sta spandendo rapidamente, ma si
conclude con un momentaneo scampato pericolo; nel secondo volume invece siamo
nel pieno della Seconda Guerra Mondiale.
Hugh è sposato con Sybil, che è un po’ la sua versione al
femminile. Di Sybil, ad esser sincera, non mi ha colpita nulla in particolare,
non quanto la natura del loro rapporto: Hugh e Sybil sono forse gli unici tra i
coniugi Cazalet ad amarsi di un amore vero, ma nonostante questo sono incapaci
di costruire un vero dialogo. Loro due pensano di conoscere l’altro alla
perfezione, credono di sapere sempre cosa preferirebbe in ogni piccola
situazione e per quest’eccesso di reciproca gentilezza danno luogo ad
un’infinita serie di equivoci che creano – senza che nessuno lo ammetta –
disagio ad entrambi (piccolo rapido esempio: Hugh non vuole il caffè ma crede che
Sybil lo gradisca, così le propone di prenderne uno; neanche Sybil, in realtà,
vuole un caffè ma dal momento che Hugh l’ha proposto pensa che a lui faccia
piacere, quindi accetta). A qualsiasi spettatore esterno può sembrare un
rapporto insensato, logorante, esasperante ma per loro funziona benissimo
nonostante talvolta il “non detto” riguardi faccende un tantino più importanti
delle piccole inezie quotidiane.
Edward e Villy sono senz’altro la coppia più finta tra i
Cazalet e non soltanto per i continui tradimenti di lui. Villy forse non
tradisce, e forse in qualche modo suo marito lo ama anche, è solo che non era
una donna tagliata per il matrimonio. Nel primo volume, anche se non
particolarmente simpatica, Villy è uno dei personaggi che ho trovato più interessanti.
Per il matrimonio aveva lasciato la sua carriera di ballerina di danza classica
con una compagnia russa, pensando che fosse una scelta saggia, giusta, normale
che l’avrebbe condotta verso una vita altrettanto appagante; invece, il ruolo
di moglie e madre si era rivelato per lei insufficiente, più stretto di un
soffocante corpetto. Nonostante tanta personale insoddisfazione, nessuno
sospetterebbe l’inquietudine di Villy, la quale appare impeccabile in ogni
momento ed in ogni contesto, comportandosi sempre come tutti gli altri si
aspettano; la frustrazione, poi, la sfoga buttandosi con tutta se stessa di
volta in volta in una nuova attività – imparare una lingua straniera, a suonare
uno strumento, una tecnica di cucito – fino al raggiungere la perfezione, per
poi passare ad altro.
Il rapporto tra Rupert e Zoe, invece, è ancora giovane,
giovane come lei che nella vita non si è preoccupata d’altro che della sua
bellezza, incitata anche da una madre povera e sola che nello splendore
estetico di quell’unica figlia adorata ha visto ogni singola possibilità di
riscatto per entrambe. Rupert non è esattamente il riccone che la madre si
auspicava per Zoe – e per se stessa – ma Zoe, nel momento in cui lo incontrò
per la prima volta, non pensò a niente di tutto questo. Nonostante a primo
impatto Zoe sembri infantile e capricciosa, ho colto in lei qualcosa di
selvatico che subito l’ha fatta scattare in vetta tra i favoriti. Difficile per
lei accontentarsi del tempo con Rupert, che quand’è libero deve dedicarsi anche
a quei suoi due bambini orfani di madre; difficile per lei, nient’altro che
tanto innamorata, non passare per bambina egoista; difficile per lei farsi
accettare da un bambino nervoso e da una ragazzina che in pratica la odia. Zoe
è una gatta, bella e indomita, dolce e ribelle, capace di arrampicarsi e di
cadere in piedi.
Se dovessi poi soffermarmi su tutti i figli ci starei
un’eternità né potrei dire molto su ognuno: non tutti i giovani Cazalet infatti
compaiono molto sulla scena. I maschi, per esempio, per la maggior parte del
tempo sono via per la scuola o altre attività. Quelle che hanno più spazio
nella narrazione sono le tre cugine Polly, Clary e Louise, che fin dall’inizio
– tra tutti – hanno attirato particolarmente la mia attenzione. Polly che non
ha idea di cosa fare nella sua vita, Polly così buona, gentile e premurosa con
tutti, che coi suoi soldi compra oggetti bizzarri da mettere da parte per
realizzare l’unico desiderio che è sicura di avere: avere una casa tutta sua
dove mettere tutte quelle cose e dove vivere serenamente con qualche gatto a
tenerle compagnia. E Clary, il contrario di Polly, brusca e scontrosa ma
soltanto bisognosa di affetto, in continua lotta per sentirsi accettata, col
talento per la scrittura che sboccia fino a diventare un’ambizione insopprimibile.
E Louise, di poco più grande di loro, abbastanza da non aver più nulla in comune
nel giro di un’estate. Louise che conosce tutto Shakespeare a memoria, sicura
soltanto di voler fare l’attrice; Louise che impara a sconfiggere la nostalgia
di casa, Louise che non sente l’amore di sua madre, Louise che l’amore di suo
padre tende ad essere di un tipo sbagliato, Louise che in valigia mette
sofferenze e paure.
Ma la gamma dei personaggi non si limita neanche a chi porta
il cognome Cazalet: la narrazione sbalza tra i componenti della famiglia e le
persone al suo servizio, in quella fortunatissima forma ripresa nella serie tv Downton Abbey (che ora posso anche
sospettare essere praticamente copiata – con qualche significativa modifica –
dai libri della Howard); come dimenticare poi Miss Milliment, l’istitutrice
delle ragazze, un personaggio capace, dignitoso e sofferente per cui ho avuto
un debole dall’inizio; e poi Sid, l’amica di Rachel, musicista di talento,
ebrea per metà, quasi parte della famiglia, legata ad una sorella che è una
zavorra, impossibilitata dalle circostanze a viversi la vita per come la
vorrebbe. Tanti sono i personaggi che passano per queste pagine, ospitati nella
grande casa del Generale e della Duchessa nella campagna del Sussex.
Se mi fossi lanciata a scrivere un commento dopo aver letto
il primo volume, avrei fatto un ritratto dei personaggi principali così come ho
fatto ora e poi avrei aggiunto che il tratto più forte che mi rimaneva di
questa grande famiglia era l’aura di serena falsità che aleggiava su tutti
quanti. Trovavo straordinario come tutti sembrassero assolutamente ordinari,
persone semplici, persone qualunque e di come invece sondandone pian piano
l’intimità di ognuno emergesse una complessa unicità, di come tutti questi
inglesi pacati, abitudinari, col tè in mano alle cinque in punto serbassero nel
quotidiano tumulti così forti, conflitti interni ed esterni, ambizioni e
rinunce: i Cazalet non parlano. Li immagino tutti seduti intorno al grande
tavolo, ben vestiti, ben pettinati, col sorriso cordiale sulle labbra. Parlano
di Hitler, di politica interna ed internazionale, parlano di musica, di arte,
dei ragazzi, di cosa fare l’indomani. Nessuno, però, si sognerebbe di esprimere
la preoccupazione per la possibilità di essere arruolato, o di sfogarsi per una
gravidanza indesiderata, o della paura di essere malati, o della difficoltà di
separarsi da un figlio che come gli altri deve andare a scuola lontano da casa.
E’ un’attitudine che i più giovani hanno già notato, ogni qualvolta pongono una
domanda e gli adulti si rifiutano di rispondere (che cos’è uno stupro? Nessuno me lo spiega! Mi hanno detto che devo
averne paura, ma come faccio ad averne paura o ad evitarlo se non so neanche
cosa sia?).
Ho capito quanto la saga
dei Cazalet mi avesse coinvolta quando, a metà del mese in corso, di punto
in bianco ho sentito un bisogno quasi fisico
di tornare tra loro, al punto da fare una cosa che ormai faccio raramente (più
per possibilità che altro) ovvero uscire, dirigermi a passo svelto in libreria,
e sborsare i diciotto euro necessari a portarmi a casa il secondo episodio, Il tempo dell’attesa. L’attesa è quella
della fine di una guerra che sembra durare da sempre e non finire mai, una
guerra che mette in pausa tutto il resto, che rende difficile condurre
un’esistenza normale. Non si sta
combattendo in prima persona, eppure non si può neanche portare avanti i propri
sogni e progetti. Gli adulti riescono anche a cavarsela, con tutte le loro cose
da fare, ma crescere in quest’atmosfera di stand-by è ben più difficile: non a
caso, ne Il tempo dell’attesa interi
capitoli sono affidati alle voci di Polly, Louise e Clary, ormai in piena
adolescenza.

In quest’opera gigante che è la saga dei Cazalet la scrittrice ha messo molto di sé, del suo
vissuto, della sua famiglia. In particolare, nella figura di Louise: anche la
Howard, infatti, aveva intrapreso la strada della recitazione e purtroppo Villy
ed Edward, i genitori di Louise, sono il ritratto dei genitori della Howard. La
madre di Jane Howard aveva abbandonato la carriera da ballerina esattamente
come Villy e proprio come lei era stata una madre anaffettiva e rancorosa per
sua figlia; anche il padre dell’autrice, come Edward, era un reduce della Prima
Guerra ed un marito fedifrago che era arrivato al punto di molestare la figlia.
La vita amorosa di Jane Howard fu anch’essa tutt’altro che tranquilla,
costellata di relazioni diverse, molte delle quali problematiche, ma trovo lo
stesso ridicolo che una scrittrice del suo calibro fosse ricordata più per la sua
“turbolenta vita sentimentale” che per la sua imponente opera letteraria.
Il tempo dell’attesa
si conclude con l’attacco di Pearl Harbor. Con la paura che il conflitto non
finisca più, con un membro della famiglia che chissà dov’è, con un amore che
forse sta nascendo, con uno che forse è finito, con più di un dubbio e nessuna
risposta.
Digerirò lentamente anche questo capitolo, poi aspetterò che
mi risalga la febbre Cazalet per
correre di nuovo in libreria in disperata ricerca del terzo volume. So già che
non ci vorrà molto, perché non vedo l’ora di tornare a indagare tra le pieghe
delle loro normalissime vite.
Ciao! Che bello trovare un post sui Cazalet, mi hai fatto venire ancora più voglia di leggerli. Ho i volumi, li ha letti mia mamma ed era presissima, le sono piaciuti veramente tanto, quindi ok mi avete convinta ehehe
RispondiEliminaIo in genere non amo particolarmente le saghe quindi la mia paura è di "stufarmi", ma sembra troppo interessante quindi credo gli darò una possibilità.
Buona giornata :D
Oh, io invece vado matta per le saghe familiari, specie se ben scritte e collocate in un momento storico interessante come questo! Per non correre il rischio di stufarti, basta lasciar passare un po' di tempo tra un libro e l'altro ;)
EliminaBuona lettura!
Ciao :-) Mi sono appena iscritta è la prima volta che leggo una recensione sulla saga dei Cazalet per intero, si bhé, quando ho un libro e devo ancora leggerlo non mi metto mai a leggere o sentire quello che gli altri pensano, stavolta la curiosità è stata troppa ed ho continuato.. Complimenti per la recensione... Il prossimo anno comincerò in bellezza con il primo volume :-)
RispondiEliminaChe responsabilità aver scritto la prima recensione sui Cazalet che hai letto! Sono molto contenta che sia andata bene, che ti sia piaciuta :) l'hai proprio detto, se Gli anni della leggerezza sarà il primo libro del tuo 2017 lo inizierai proprio in bellezza ^^
EliminaE' un piacere averti tra i miei lettori, ora corro a sbirciare il tuo blog!
Ciao, hai scritto un post molto bello e approfondito e sei riuscita, penso, a sondare ed esprimere i motivi per cui questa saga piace anche a me! Fra l'altro, anch'io sono al terzo (l'ho comprato con le offerte di settembre ma ancora non l'ho letto). Non posso parlare, nel mio caso, di una vera e propria "febbre", però sono libri che appassionano e non si fanno mettere giù fino a che non si è voltata l'ultima pagina. Probabilmente è il rapidissimo avvicendarsi di personaggi ed avvenimenti, nonchè la penna pulita ma sottile "un bisturi, potremmo dire) della Howard. Leggere la tua recensione mi ha fatto tornare il desiderio di immergermi nuovamente in quelle atmosfere, grazie!
RispondiEliminaWow, ne sono felice! Più che febbre forse mi era semplicemente venuta una forte nostalgia della storia, dell'atmosfera, dei personaggi... ma insomma era un chiaro sintomo di quanto la Howard abbia saputo coinvolgermi e farmi affezionare ai suoi Cazalet. Mi fa piacere trovarti sulla stessa lunghezza d'onda ^^ io sono curiosissima di leggere il seguito, non vedo l'ora di averlo!
EliminaIntanto ti auguro buona lettura e attendo un tuo commento.
Ciao, sono nuova! Bella recensione, d'ora in poi ti seguirò con molto piacere! Tornando al libro... Nel 2017 devo assolutamente trovare.il tempo di leggere questa saga! :)
RispondiEliminaSì sì, devi assolutamente! Sono state senz'altro tra le letture più belle di quest'anno per me.
EliminaGrazie di esserti unita ai miei lettori, mi fa molto piacere :)
Ciao Julia! Complimenti per la recensione! Condivido ogni parola che hai scritto: anche io, ho difficoltà a scrivere recensioni di libri che mi sono piaciuti davvero tanto, per non parlare dei miei preferiti! Ho iniziato a leggere Jane Howard due mesi fa e me ne sono innamorata pian piano: i personaggi ti entrano dentro e difficilmente si lasciano andare. Ora sto quasi finendo "Allontanarsi" e sono combattuta tra leggerlo tutto di un fiato, attanagliata dalla curiosità o centellinarlo per farlo durare un po' di più!
RispondiEliminaI miei complimenti anche per il blog in genere e per questo motivo, ti ho nominata per il Liebster Award 2017. Spero ti faccia piacere!
https://ciprovogustoalleavventure.blogspot.it/2017/07/liebster-award-2017.html
Ciao cara, grazie mille per queste belle parole e per il premio, mi fa un immenso piacere :)
EliminaIo sono indietro con la saga dei Cazalet, devo ancora iniziare il terzo volume! Spero di leggerlo entro la fine dell'estate, ma comunque non mi dispiace prendermela con calma, proprio perché mi sono così innamorata dei personaggi, della storia, della scrittura della Howard che non mi dispiace affatto sapere di averne ancora un bel po' da leggere!
Io più vado avanti, più mi piange il cuore! Ti invidio tanto, dato che ti aspettano ancora taaaante pagine! Fino ad ora "Confusione" è il mio preferito! ;)
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