Più o meno tutti abbiamo studiato epica a scuola, ma quanti di noi si sono appassionati alla materia allora? Probabilmente persone che poi hanno scelto di specializzarsi in quello stesso settore, quando alle medie dovevano vedersela con le parafrasi di Omero avranno detto che palle e che schifo e ma parla come mangi e ma che problemi aveva questo più o meno ad ogni verso. Sicuramente un ruolo importante in questo lo fanno gli insegnanti: se sei fortunato e a spiegarti le gesta di Achille c'è qualcuno che ha saputo mantener viva la propria passione e che ancora ama il proprio lavoro, forse c'è speranza che ad undici anni capisci qualcosa. Io sono stata più o meno fortunata, la professoressa che avevo alle medie pur essendo abbastanza fuori di testa qualcosa mi ha insegnato; ma mancavano in me le consapevolezze che sono giunte più tardi, quella curiosità che adesso, a ventiquattro anni, un giorno mi ha spinto ad ordinare l'Iliade in libreria per leggermela dall'inizio alla fine. E ora che questa avventura è iniziata, che incanto, che storie, quanta bellezza!
La traduzione chiara e scorrevole della Calzecchi Onesti rende il testo d'impatto immediato e se vado a rilento è solo perché ad ogni nome che incontro mi fermo, lo cerco e mi perdo nella scoperta di miti che avevo dimenticato, che ignoravo o di cui sapevo ben poco. Ripeto: che incanto.
Premetto che non so ancora esattamente come saranno strutturati questi post, lo capirò strada facendo, abbiate pazienza se soprattutto all'inizio saranno un po' disordinati o sconclusionati.
Cominciamo.
La peste e l'ira
vv. 1-7: Protasi
Avendo ancora ben scolpiti nella memoria i versi tradotti dal Monti e imparati a memoria a scuola, è stata una versa sorpresa scoprire come suonasse diversa la versione di Rosa Calzecchi Onesti.
Si passa da questo:
« Cantami, o diva, del Pelide Achillea questo:
l'ira funesta che infiniti addusse
lutti agli Achei, molte anzi tempo all'Orco
generose travolse alme d'eroi,
e di cani e d'augelli orrido pasto
lor salme abbandonò (così di Giove
l'alto consiglio s'adempìa), da quando
primamente disgiunse aspra contesa
il re de' Prodi Atride e il divo Achille.»
« Canta, o dea, l'ira d'Achille Pelide,L'opera di svecchiamento è evidente. Quella del Monti è intramontabile, un italiano così alto e raffinato è da sognarselo ormai; ma l'accesso più immediato alla comprensione che consente la traduzione della Calzecchi Onesti è cosa non da poco.
rovinosa, che infiniti dolori inflisse agli Achei,
gettò in preda all'Ade molte vite gagliarde
d'eroi, ne fece il bottino dei cani,
di tutti gli uccelli – consiglio di Zeus si compiva –
da quando prima si divisero contendendo
l'Atride signore d'eroi e Achille glorioso. »
Venendo al testo in sé, come di consueto il poema si apre con l'invocazione alla Musa, alla quale il poeta doveva rivolgersi per chiedere la necessaria ispirazione. Le Muse nella mitologia greca erano nove, ognuna delle quali agiva in un genere specifico. La Musa della poesia epica era Calliope e dunque è a lei che Omero si rivolge nel suo Cantami, o diva.
Il Pelide attribuito ad Achille è un patronimico, sta ad indicare che egli era figlio di Peleo, re di Ftia, in Tessaglia. Subito dopo si fa riferimento alla sua ira, che si rivelerà il tema principale dell'intero poema. In questa prima parte, tale sentimento ha come bersaglio l'Atride signore d'eroi, ovvero Agamennone, indicato ancora una volta per mezzo di un patronimico (Atride: figlio di Atreo).
vv. 8-52: Crise maltrattato e vendicato
In questi versi ci viene spiegato quale fu il seme della discordia tra Achille ed Agamennone: quest'ultimo aveva rapito Criseide, figlia di Crise, sacerdote di Apollo. Crise pertanto si reca presso le navi degli Achei (dei greci, cioè) per proporre un patto: ad essi gli dèi avrebbero consentito di abbattere la città di Priamo – ovvero Troia, assediata già da dieci anni – se Criseide fosse stata restituita al padre. Tutti acclamano, assolutamente d'accordo ad accettare – tutti, tranne Agamennone, il quale non solo caccia il sacerdote Crise, ma lo fa bruscamente e con male parole, parole nelle quali si dimostra subito un personaggio arrogante e poco ragionevole che probabilmente non avrà la simpatia del lettore. Crise obbedisce e si allontana, ma una volta al riparo chiama subito il dio Apollo, fratello gemello di Artemide e figlio di Zeus e Latona (che possedeva i poteri del progresso e vegliava sui fabbri), il quale ascoltando la preghiera di Crise scese subito dall'Olimpo, s'appostò lontano dalle navi e lanciò una freccia. Colpì prima i muli, poi i cani veloci ed infine gli uomini, i cui corpi continuarono ad accumularsi gli uni sugli altri: e di continuo le pire dei morti ardevano, fitte.
vv. 53-120: L'assemblea raccolta e il responso di Calcante
Al decimo giorno, Achille – seguendo la volontà della dea Era, che penava nel vedere i greci morire in quel modo – raduna l'assemblea e decide d'interrogare un profeta o un sacerdote per capire quale sbaglio il dio Apollo stesse rinfacciando loro con quella crudele punizione; a tale richiesta si alza Calcante, il migliore fra i vati, che conosceva il presente e il futuro e il passato, il quale promette di dar loro le spiegazioni che cercavano soltanto se Achille avrebbe promesso di proteggerlo, perché prevedeva che ascoltando le sue parole un uomo si sarebbe molto adirato. Achille promette di difenderlo contro ogni mano pesante, fosse anche stata quella di Agamennone. E qui ci sono due precisazioni importanti da fare: la prima riguarda il vero ruolo di Agamennone. Egli viene indicato come re ma con questa definizione non s'intende il "re" come lo intendiamo noi, poiché non esisteva il concetto moderno di monarchia. Agamennone pertanto era piuttosto un primo tra pari, cui l'obbedienza degli uomini non era necessariamente dovuta. La seconda considerazione riguarda la posizione assunta da Achille in questo passaggio: offrendo la sua protezione a Calcante dimostra che non vuole difendere soltanto i propri interessi, che anzi è disposto a prendere le difese anche degli altri, assumendo così le funzioni di un potere politico e giudiziario, di cui forse si iniziava a sentire l'esigenza.
A questo punto Calcante parla, raccontando di come il dio Apollo ce l'avesse con loro per come il sacerdote Crise era stato trattato e cacciato da Agamennone, il quale subito reagisce con rabbia, riconoscendo tuttavia che per il bene dell'esercito è disposto a rendere Criseide, a patto che gli venga dato in cambio qualche altro dono.
vv. 121-303: La contesa e l'ira
In questo momento diventa facile comprendere che la contesa tra Achille e Agamennone non riguarda il particolare episodio presente, ma va avanti anzi da molto più tempo: Achille infatti non riesce a tollerare la prepotenza di Agamennone e gli rinfaccia di come rispetto ad altri combattenti si prodighi poco in battaglia e di come sia di contro avido di doni (cioè dei bottini di guerra, che comprendevano anche le donne, di cui solitamente uccidevano padri e mariti). La lite tocca il suo culmine quando Agamennone dice con sfrontatezza che sarebbe andato direttamente alla tenda di Achille a prendersi il suo di dono, ovvero la bella Briseide. A questo punto Achille è pronto a sfoderare contro di lui le sue armi, ma interviene Atena, dea della sapienza e della strategia militare, che inviata da Era compare dietro Achille, invisibile a tutti gli altri, e lo dissuade dall'usare la forza. La lite riprende allora sul piano verbale, finché non interviene Nestore, il più anziano dei capi greci, sotto il quale s'erano già estinte due generazioni di uomini mortali e sopra la terza regnava, che con la propria saggezza riesce a placare gli animi, ma non a far tornare indietro i due litiganti dalle loro posizioni.
Agamennone, parlando di Achille e rivolto a Nestore:
«Sì, tutto questo, o vecchio, tu l'hai detto a proposito;E a sua volta, Achille:
ma quest'uomo vuol stare al di sopra di tutti,
vuol comandare su tutti, signoreggiare su tutti,
dare a tutti degli ordini, a cui, penso, qualcuno non obbedirà.
Se l'hanno fatto guerriero gli dèi che vivono sempre,
gli hanno ordinato per questo di vomitare ingiurie?»
«Davvero vigliacco e dappoco dovrei esser chiamato,vv. 304-348: Sorte di Criseide e Briseide
se ti cedessi tutto, qualunque parola tu dica.
Agli altri comanda questo, ma non a me
darai ordini; ormai io non ti obbedirò.
E ti dirò un'altra cosa, tu ficcala nella tua mente:
con la forza, è inteso, io non combatterò per la giovane,
non con te, non con altri, poiché la prendete voi che la deste.
Ma dell'altro che sulla rapida nave nera possiedo,
nulla di questo potresti prendere e portar via mio malgrado.
Su dunque, fanne la prova, che sappiano anche costoro:
subito il sangue nero scorrerà intorno alla lancia!»
Sciolta l'assemblea, mentre Achille torna alle tende assieme a Patroclo e compagni, Agamennone spinge in mare una nave, guidata da Odisseo e con a bordo Criseide, e chiede ai suoi due araldi e fedeli scudieri di andare alla tenda di Achille a prendere Briseide guancia graziosa, e questa è forse la parte più emozionante incontrata in questo Libro Primo: i due araldi, Taltibio e Euribate, quando arrivano in vista di Achille per rispetto non osano avvicinarsi o parlare, ma non ce n'è neanche bisogno perché Achille sa già cosa sono venuti a fare, e ordina a Patroclo di condurre fuori la giovane.
vv. 349-429: Achille e Teti
Achille scoppia in lacrime, seduto lontano dai compagni, e piangendo implora la madre, la dea Teti, la quale sentendolo subito emerge dagli abissi del mare e accorre al suo fianco, pregandolo di confidarle le sue pene. Le chiede di recarsi da Zeus e di chiedere a lui, signore degli dèi, di dare qualche aiuto ai Troiani e respingere gli Achei in mare, cosicché tutti gli uomini dell'esercito si godessero il loro re e Agamennone stesso avrebbe dovuto rendersi conto della propria follia. Teti, in lacrime per il dolore del figlio, accetta il compito che le viene affidato. Achille dovrà però attendere, perché Zeus è partito per un pranzo il giorno prima e Teti potrà chiedere il suo aiuto solo dodici giorni dopo; nel frattempo, gli consiglia di conservare la propria ira verso gli Achei e di non combattere ancora con loro.
vv. 430-487: Odisseo rende Briseide al padre
Nel mentre il viaggio di Odisseo si svolge senza intoppi: giunge a destinazione, consegna Criseide al padre Crise, il quale felice e sollevato subito rivolge la sua preghiera al dio Apollo affinché cessi la sua punizione. Il lieto esito viene coronato da un banchetto abbondante e calici di vino, ed il viaggio di ritorno alle tende achee è altrettanto veloce e tranquillo.
vv. 488-534: Teti e Zeus
Come promesso, al dodicesimo giorno Teti si reca da Zeus per fargli la sua richiesta, in nome di qualunque cosa lei avesse mai fatto per onorarlo o aiutarlo; Zeus è in difficoltà, perché sa che acconsentendo scatenerà la rabbia di sua moglie, Era, che già lo accusa di sostenere i Troiani in battaglia. Alla fine, tuttavia, acconsente, e lo fa con un solo piccolo cenno del capo per non farsi notare, assicurandole che quel cenno è una promessa. Teti torna nel mare.
vv. 536-611: La contesa fra Era e Zeus rasserenata da Efesto
Nonostante la discrezione di Zeus, Era lo ha visto confabulare con Teti e pretende di sapere cosa fosse venuta a chiedergli; Zeus ovviamente si oppone. L'atmosfera tesa viene alleggerita dal figlio Efesto, che raccontando delle sue disavventure quando ha osato schierarsi contro Zeus strappa risate a tutti, e offrendo calici pieni continua a rasserenare gli animi dei presenti.
E con questo si conclude il Libro Primo, di cui mi ha colpito l'immediatezza, la facilità con cui mi sono vista davanti agli occhi le varie scene raccontate; la forza dei sentimenti, così diretti e tempestosi. I versi più toccanti sono sicuramente quelli che descrivono Achille in lacrime, lontano da tutti, affranto dalla perdita di Briseide (poi beh, ti ricordi che è una poveraccia che ha rapito dopo averle ucciso il fratello e il marito e allora forse un po' di magia si perde, ecco). Ma più di tutto a colpirmi son state le descrizioni delle apparizioni delle dee: quando arriva Atena a fermare Achille durante la lite con Agamennone, o Teti che emerge dalle acque in aiuto del figlio. Le parole usate sono davvero poche in confronto a quelle che useremmo noi oggi per descrivere la stessa situazione, eppure sono tanto più evocative di paragrafi interi.
So che è uscito fuori più un riassunto che altro, spero che man mano che prendo confidenza col testo riuscirò anche a raccontarvelo in maniera più scorrevole e più ricca di mie considerazioni. Per questa volta, mi accontento di aver condiviso questo primo passo dentro quest'immensa lettura.
Anch'io ho nella mia biblioteca la meravigliosa edizione tradotta da Rosa Calzecchi Onesti, che ha saputo rendere alla perfezione l'intensità e la solennità del testo, senza per questo renderlo oscuro e desueto. Spero che il proseguimento della lettura ti faccia mantenere o accrescere la passione per questo pilastro della letteratura mondiale, che, a mio modesto parere, supera di gran lunga l'Odissea.
RispondiEliminaAl momento non fa che appassionarmi sempre di più, libro dopo libro. La traduzione della Calzecchi Onesti la sto trovando fantastica: così scorrevole e musicale. Purtroppo non conosco il greco, dunque i confronti col testo originale mi sono preclusi; ma la tua è l'ennesima conferma della perfezione della sua traduzione, dunque non posso che essere felice di aver scelto l'edizione giusta :)
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