«(...) era il domani o il dopodomani, che in Aulide le navi dei Danais'adunarono, male a Priamo e ai Troiani portando.E noi intorno a una fonte, vicino ai sacri altarioffrivamo agli eterni ecatombi perfette,sotto un bel platano, da cui scorreva lucida l'acqua.E qui apparve gran segno: un serpe, scarlatto sopra la schiena,pauroso, che appunto l'Olimpio fece venire alla luce,balzando di sotto l'altare, si avventò al platano.Qui era un nido di passeri, tenere creature,sul ramo più alto, nascosti sotto le foglie,otto e nona la madre che fece le creature;e il serpe divorò i piccoli, pigolanti pietosamente;volava intorno la madre, piangendo le sue creature;quello s'arrotola, scatta, l'afferra per l'ala, che pigola.Ma quando ebbe ingoiato i piccoli della passera e lei,lo annientò il dio, che lo fece apparire,pietra lo fece a un tratto il figlio di Crono pensiero complesso.Noi ammiravamo immobili quel ch'era accaduto:come prodigi tremendi dei numi l'ecatombe interruppero.Ma subito Calcante spiegò il responso divino:“Perché senza voce restate, Achei dai lunghi capelli?A noi tal prodigio ha mostrato il sapientissimo Zeus,tardo, lento a avverarsi, ma non perirà la sua fama.Come questo ha ingoiato i piccoli della passera e lei,otto, e nona la madre che fece le creature,così, appunto, tanti anni noi dovremo combattere,ma al decimo prenderemo la spaziosa città!”Egli spiegava così: e tutto ora si compie.Dunque restate tutti, Achei dai buoni schinieri,fino a quando prendiamo la gran rocca di Priamo».
Il Libro Secondo del poema omerico porta con sé alcune suggestive personificazioni – come il Sogno cattivo e la Fama – e moltissime esaustive metafore, o per meglio dire comparazioni omeriche, capaci di rendere con poche parole il perfetto ritratto di quanto accade: il lettore vede e sente, almeno personalmente ho avuto l'impressione di avere davanti agli occhi la polvere che si alzava sotto le corse dei soldati, di sentire il clamore dei metalli ed il chiasso delle voci. E' un Canto in cui gli eventi si susseguono in velocità accelerata, uno dietro l'altro, e da che si stava assistendo solo ad alterchi, piani divini e previsioni, ci si ritrova schierati in campo, pronti a sfoderare le lance.
Questo secondo libro si apre con il Sogno cattivo – e quanto mi piace questa personificazione! – inviato da Zeus ad Agamennone: assumendo le sembianze di Nestore, il più saggio e anziano tra i signori Achei, gli suggerisce di far subito preparare l'esercito a scendere in battaglia. Quanto segue a questo inizio mi ha lasciata perplessa e mi ha fatto credere di non averci capito un tubo, ma leggendo bene le note ho avuto la rassicurazione di non esser ancora diventata del tutto stupida: l'episodio in questione è effettivamente confuso e contraddittorio, frutto probabilmente di compilazioni risalenti a momenti diversi ed incastrate l'una dentro l'altra senza adattamenti. Succede infatti che vengono convocati simultaneamente il Consiglio degli Anziani e l'Assemblea dell'esercito, che Agamennone esorta i soldati a prepararsi a tornare a casa piuttosto che andare in battaglia, che l'esercito dapprima perplesso scoppia in tripudi di gioia ed esaltazione e corre alle navi: insomma, un casino. In questo parapiglia l'unico a restarsene fermo ad osservare la scena, con l'amarezza nel cuore, è Odisseo, più volte paragonato a Zeus per saggezza (anche se, diciamocelo, sia pure un semplice umano Odisseo sta dieci spanne sopra). Ancora una volta Era ci mette lo zampino per proteggere i suoi favoriti – gli Achei of course – e ancora una volta manda Artemide dagli occhi azzurri e trecce bionde a placare gli animi; trovando Odisseo già fermo e contrariato, è a lui che la dea consiglia di riportare l'ordine. Sentendosi legittimato allora a far quel che probabilmente avrebbe già di suo voluto fare, Odisseo inizia a correre tra gli uomini urlandogli di tornare alla base, se necessario picchiandoli e insultandoli. Tra l'altro, passando toglie di mano ad Agamennone il suo scettro, uno scettro fabbricato da Efesto per Zeus e tramandato per svariati secoli, mica un bastoncino qualunque: e boh, Odisseo glielo toglie di mano così e ci prende a randellate i soldati fuggitivi. Non lo capisco mica, 'sto Agamennone, anche se bisogna concedergli che durante l'Assemblea stavolta ha dimostrato un minimo di ragionevolezza riconoscendo che son due idioti lui ed Achille a beccarsi come due galli nel pollaio, ché se si unissero i Troiani non avrebbero un attimo per rifiatare. A proposito, in tutto ciò Achille sta ancora preso a male per Briseide e viene a stento nominato.
Riportato l'ordine a fatica, Odisseo ha un alterco con tale Tersite, descritto come l'uomo più brutto che si fosse mai visto e odiato da tutti perché il tempo libero lo passava a parlar male di più o meno chiunque; stavolta se la prende con Agamennone e inizia a dirne di cotte e di crude – e come dargli torto, in effetti – ma Odisseo aveva già la luna storta, quindi prima lo smonta a parole e poi lo picchia pure, rimettendolo nel suo angolino. I soldati che avevano assistito dicono che Odisseo ne aveva fatte di cose buone da quando si trovavano lì, ma questa era senz'altro la migliore! Pensa quanto lo odiavano, 'sto Tersite.
Calmate definitivamente le acque, si susseguono vari discorsi, tra cui tutto il lungo pezzo che ho riportato il apertura: il ricordo della profezia cui avevano assistito tanto tempo prima – atroce a vedersi, sicuramente, ma bella a leggersi – fa ricordare ai soldati che forse non è il caso di tornarsene a casa proprio ora che i loro otto anni passati lì potrebbero portare ad una conclusione. Ripristinati obiettivi e forza di volontà, inevitabilmente si festeggia con sacrifici – un povero toro di cinque anni – e banchetti.
A questo punto mi ha stupito moltissimo trovarmi a leggere una seconda invocazione: il poeta si rivolge stavolta alle Muse, al plurale, e – cosa che mai mi sarei aspettata – utilizza il primo pronome personale, io. Lo fa perché a questo punto ha inizio il cosiddetto catalogo delle navi, ossia un elenco lunghissimo dei vari gruppi che componevano l'esercito, dei loro capi e dei luoghi di provenienza. Questa seconda invocazione è volta ad enfatizzare la quantità di persone che partecipavano a questa guerra, infatti il poeta chiarisce che lui ne nominerà solo alcuni, perché neanche se avesse dieci lingue e dieci bocche e voce instacabile riuscirebbe a elencarli tutti. Quel che ne esce è comunque un elenco iperbolico, secondo il quale le navi achee sarebbero circa milleduecento.
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Morfeo e Iris (1811) Pierre-Narcisse Guérin |
Sarà il maggior coinvolgimento che ho provato nella lettura di questo Canto, che mi ha permesso di raccontarvelo con leggerezza e un pizzico di ironia. D'altronde sto scoprendo che per leggere l'Iliade non ci sono grandi scogli da superare, bastano la curiosità e un minimo di pazienza. Ovviamente è una lettura impegnata, ma le sue pagine si aprono essenzialmente sull'animo umano. Umani sono i combattenti, e come tali si lasciano condurre dai propri sentimenti; umani sembrano, in fin dei conti, anche gli dèi. Ho lasciato così i due eserciti schierati, divisi solo da un po' di spazio. Immagino che nelle prossime pagine inizierò ad entrare nel vivo dell'azione e, sinceramente, non vedo l'ora.
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