domenica 25 agosto 2019

The danish girl, David Ebershoff

Pasadena, Copenhagen, Parigi, Dresda. Città che non hanno quasi niente l'una in comune con l'altra e che nella mia mente non si erano mai incrociate dentro lo stesso pensiero o lo stesso nucleo di parole - che motivo avrei avuto, del resto, per collegarle l'una all'altra? 
Da qualche settimana, invece, sono luoghi inscindibili. Lo sono diventati un po' per volta, all'improvviso, intanto che il tintinnio dei braccialetti di Greta si sommava ai paesaggi dipinti da Einar e nell'aria si diffondeva il profumo di latte e menta emanato da Lili. Questi suoni, queste immagini, questi odori sono accaduti uno per volta, e poi hanno cominciato a coesistere nei corridoi di certe case, nelle strade di molti posti, simultaneamente e per sempre. Quella fragranza di latte e menta è stata sentita per la prima volta in un appartamento di Copenhagen, anche se era nata parecchi anni prima in una palude in un posto sperduto della Danimarca. E' diventata sempre più preziosa frizzando nelle romantiche sere parigine ed a Dresda c'era un uomo con delle bacchette magiche che avrebbero fatto in modo che quel profumo così delicato e riconoscibile non sarebbe svanito più. Lili, non sarebbe svanita più. Il tintinnio dei braccialetti invece veniva da Pasadena, ma aveva scoperto un'acustica migliore nella capitale danese, dove divenne inseparabile prima da Einar e dai suoi paesaggi, poi da Lili e dal suo profumo di latte e menta.
Lasciate che vi racconti una storia.



C'era una volta Einar Wegener, che viveva a Copenhagen e dipingeva solo paesaggi. L'Europa li apprezzava, concedendo al suo autore una discreta fama ed un ottimo stipendio. Benché fosse piuttosto giovane e la sua carriera da poco decollata, Einar insegnava già all'Accademia d'arte, dove un giorno arrivò tra i suoi studenti Greta Waud. Era giovane, determinata, veniva dall'America ed aveva una spina dorsale da cowboy. Greta dipingeva solo ritratti, era brava ma non eccellente e un giorno prese tra le mani il viso di Einar - che era il suo professore - e lo baciò. Non ci fu molto tempo per soppesare i pro ed i contro di un'eventuale relazione, perché la prima guerra mondiale stava per sconvolgere l'Europa ed i genitori di Greta la costrinsero a tornare in America con loro. Greta odiava l'America, o per lo meno odiava Pasadena, dove il cognome che portava pesava di aspettative e destini prestabiliti cui lei era decisa a non piegarsi. Campi di aranceti, da lì venivano i soldi ed il prestigio dei Waud, terre e alberi che producevano arance grosse e succose. Da Greta ci si aspettava quello che facevano le altre ragazze della sua età: un marito di buona famiglia, una bella casa ed un adeguato numero di figli, cui dedicare il resto della vita tra conversazioni sterili, svaghi inutili e i pomeriggi di pioggia passati a fare l'uncinetto. Su Greta gravava ancora lo scandalo di essersene andata a zonzo sul carretto del giovane salumiere quando era una ragazzina, ecco quanto era stupido e piccolo quel posto, ecco perché era stato così salutare per lei muoversi nell'aria fredda di Copenhagen, dove nessuno la conosceva e tutti erano pronti a perdonare ogni stravaganza in virtù del fatto che era un'americana. Inchiodata di nuovo a Pasadena, Greta si aggrappò a quel bacio lasciato tra le labbra di Einar, sicura che la distanza e la guerra non potessero impedire ad un destino che era già scritto di compiersi. Lui però era molto più passivo e timoroso di lei ed in uno dei pochi pezzi di carta che riuscirono a travalicare l'oceano le scrisse che date le circostanze, probabilmente non si sarebbero visti mai più. Greta costrinse il boccone amaro a scenderle nello stomaco, e poi si diede da fare per trarre il meglio da quella che ormai era la sua vita. Conobbe un ceramista, all'inizio solo per svago, ma poi se ne innamorò perdutamente - perché Greta sapeva amare solo a quel modo, perdutamente - si sposarono sotto gli sguardi perplessi di tutti, ebbero un figlio che nacque morto e più tardi morì anche il ceramista a causa della tubercolosi, esalando l'ultimo faticoso respiro tra le braccia di Greta. Lei allora non perse un minuto, fece le valigie e salpò alla volta della sua casa scelta, la Danimarca. Quando si trovarono di nuovo faccia a faccia, lei ed Einar - che nel frattempo aveva condotto la stessa vita di prima, solitario, insegnando e dipingendo - non ebbero altra scelta che sposarsi. E così trovarono l'appartamento che faceva al caso loro, a due passi da Nyhavn, dove lui dipingeva solo paesaggi, lei dipingeva solo ritratti.

Landscape with Poplars
Einar Wegener, 1908
Ritratti di noiosi burocrati, delle loro mogli boriose, che finivano ignorati nei freddi corridoi degli uffici o a dare un tono nei salotti delle loro ville, mentre i quadri di Einar - anche se lei non riusciva a spiegarsi come potesse non annoiarsi dipingendo incessantemente lo stesso soggetto - venivano esposti alle mostre e ricevevano trafiletti entusiasti sui quotidiani. Non c'era invidia da parte di Greta, così come non c'era accondiscendenza da parte di Einar. Poi, un giorno, arrivò il giorno che cambiò qualunque cosa. Greta stava lavorando al ritratto di Anna, una cantante lirica di mezza età che ritardava sempre alle sedute di posa per via delle prove in teatro. Forse fu davvero perché si sentiva indietro col lavoro, forse colse questa scusa per portare alla luce qualcosa che, in qualche modo, aveva già intravisto. Greta chiese ad Einar di indossare le scarpe, le calze, infine anche il vestito di Anna - lui oppose qualche resistenza, ma fu costretto a cedere in nome dell'arte e dell'insistenza di sua moglie. Così indossò i panni di Anna, dicendosi che se anche lei fosse entrata in quel momento e lo avesse trovato conciato a quel modo non sarebbe stato troppo imbarazzante, in fondo Anna era un'artista ed in teatro gli uomini travestiti da donne erano una cosa più che normale. Greta lo osservava attentamente, intanto che dipingeva, mentre lui si ricordò di quella volta, quando era ancora un ragazzino e viveva nella palude, che Hans gli aveva chiesto di cucinare qualcosa e lui aveva indossato il grembiule della nonna e Hans... Anna entrò all'improvviso, restò stupita ma subito si allargò tutta in un sorriso lanciandogli addosso complimenti come coriandoli. In mano aveva un gran mazzo di fiori, forse per scusarsi del ritardo. Greta li accolse, e poi guardando Einar disse: ti chiameremo Lili.

Lili with Feather Duster
Gerda Wegener, 1920
Da quel momento, il mondo di Einar e di Greta pian piano si capovolse, o forse si dispose finalmente per come sin dall'inizio avrebbe dovuto essere. Lili tornò sempre più spesso a trovarli, Einar dipingeva sempre meno perché non ce n'era più bisogno, Greta iniziò a ritrarre Lili e la società dell'arte impazzì per lei. Le pieghe di questa storia incredibile e verissima sono infinite, e non posso credere di aver aspettato tanto prima di leggerlo: David Ebershoff, autore americano di cui questo romanzo rappresenta l'esordio, avvenuto nel 2000, ha riportato alla luce la vita di Lili Elbe, la prima persona nella storia ad essersi sottoposta ad un intervento di riassegnazione sessuale, e di sua moglie che in realtà si chiamava Gerda, che gli fu accanto fino alla fine. L'autore ci assicura, a fine romanzo, che tutto quanto concerne la biografia di Lili è basato sulla realtà - interviste che rilasciò lei all'epoca, i suoi diari, un testo intitolato Man Into Woman che racconta la sua storia e che lei collaborò a scrivere. Per quanto riguarda gli altri personaggi ed i rapporti che li legavano, l'autore precisa di essere partito da fatti e persone reali e di averli poi romanzati. Parlando strettamente del romanzo, dunque, la cosa che mi ha sorpresa di più è stata che mi aspettavo di maturare un'empatia ed un trasporto emotivo soprattutto nei confronti di Einar e poi di Lili, invece mi sono innamorata soprattutto di Greta: lei, con la sua spina dorsale da cowboy, è secondo me la spina dorsale di questa storia. Ho ammirato sin dall'inizio il suo carattere forte, il suo spirito indipendente, l'onestà e la schiettezza con cui si rapporta a se stessa e con la vita. Ma è quando da Einar esce fuori Lili che ho iniziato ad amarla veramente, perché Greta comprende istintivamente cosa sta accadendo e neanche per un secondo, neanche per un solo attimo, vede qualcosa di sbagliato in ciò che si trova sotto gli occhi. Incoraggia Einar ad indagare fino in fondo la propria identità, lo sprona ad essere Lili per capire chi vuole essere davvero, e quando per Einar rimane sempre meno spazio lei gli resta accanto da amica fedele, protettiva e solida anche se per lei significa perdere l'uomo che ha sposato, l'amore della sua vita. E quando una volta, guardando Lili che si muoveva per casa un dolore bruciante le si mosse dentro pensò mi manca mio marito, non disse niente, ricacciò indietro la tristezza ed aiutò Lili a prepararsi. Ecco come era Greta. 

Lo stile di David Ebershoff non mi ha colpita particolarmente, ma non posso dire nemmeno che mi sia del tutto dispiaciuto. A dispetto delle sue oltre 300 pagine, il libro si è fatto divorare in tre giorni scarsi, segno se non altro di grande scorrevolezza e - ovviamente - di una storia che una volta che ci sei dentro non vuoi più mollare. La vicenda di Lili mi ha preso moltissimo, l'ho seguita ovunque, da sola con la sua valigia, sotto la pioggia e in notti fredde in città sconosciute. Ho avuto paura per lei, ho avuto i brividi davanti alle diagnosi dei medici sbagliati, ho provato sollievo ascoltando quell'uomo venuto da Dresda che prometteva miracoli, ho sentito come se fosse il mio il peso che si scioglieva nel petto sentendo le parole "ne ho incontrato un altro come lei". 
The Danish Girl è un romanzo che non posso fare a meno di definire bellissimo e che merita di essere letto se non altro perché racconta una vita che ha segnato la storia, aprendo una strada, dando una possibilità a persone che fino a quel momento credevano di non averne. Sarei folle se vi svelassi l'epilogo, ma anche quello mi ha convinta pienamente, colpendomi forte e lasciandomi piena di amarezza. Perché era andato tutto bene, se solo l'essere umano avesse riconosciuto il limite, se non avesse peccato di arroganza, se non avesse commesso l'errore di Icaro. 

Terminata la lettura mi sono fiondata - finalmente! - a vedere il film, che desideravo guardare da quando era uscito e che rimandavo proprio perché prima dovevo necessariamente leggere il libro (bibliofili, siete con me?). Mi son trovata davanti ad uno di quei scomodi casi in cui bisogna convincersi a pensare che libro e film, pur raccontando la stessa storia, sono due cose diverse, ugualmente belle. La trasposizione cinematografica, con l'atmosfera degli anni Venti e Trenta e soprattutto con la bravura degli attori, tiene gli occhi incollati allo schermo. Eddie Redmayne nei panni di Einar Wegener e di Lili Elbe è una poesia umana, le sue espressioni ed i suoi movimenti sono un capolavoro e vale senz'altro la pena vedere il film solo per questo. Non posso negare però di esser rimasta piuttosto delusa da come hanno stravolto la figura di Gerda, almeno rispetto al romanzo: è vero che resta accanto ad Einar/Lili, ma lo fa ribellandosi a quanto sta accadendo, versando lacrime e lasciando straripare la sua sofferenza - tutte cose che, la Greta d'acciaio del romanzo, non si sarebbe mai sognata di fare. Vengono meno anche i suoi saldi principi, come il suo non sognarsi nemmeno di guardare un altro uomo finché era ancora sposata, nonostante suo marito non fosse più suo marito. Anche il finale è ben diverso dal libro, ne manca un'intera parte che lo rende forse più triste e molto meno amaro. Anche se avete visto il film e pensate quindi di conoscere questa storia, il mio consiglio è di leggere comunque il romanzo perché molto diverso.





Sei sempre stata più brava di me a fare ritratti.
Divento come mi vedi.
Mi hai fatta bella, e ora mi fai forte...
Quanto potere c'è in te.


2 commenti:

  1. Mi hai ricordato che ce l'ho in libreria da anni. :)

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    1. Beh, spero vivamente che oltre ad averti ricordato di averlo, la mia recensione ti abbia spinto anche a tirarlo giù dallo scaffale! ^^

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