giovedì 19 novembre 2015

Vasti orizzonti

Le cose che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni sono le più facile da dimenticare.


Da dare per scontate, a volte fino al punto di non vederle nemmeno più. E' il motivo per cui capita – immagino – di accorgersi d'improvviso di aver smesso di amare la persona che credevamo di amare fino al giorno prima.
E' il motivo per cui non diciamo ogni giorno ti voglio bene alle persone a cui vogliamo bene.
E' il motivo per cui accade così spesso di percepire la vita – o almeno quella quotidiana – come opprimente, noiosa, ripetitiva. E' il motivo per cui molte persone spesso si comportano come se fosse tutto già visto, tutto già fatto, tutto già sentito.

Trovare l'originale nel banale.
Tirar fuori lo straordinario dall'ordinario.

Ad un certo punto ho pensato che semmai ci fosse una missione nella mia vita sarebbe stata questa. Era quel che cercavo di fare quando scrivevo, era quel che più ammiravo negli altri quando notavo qualcuno in grado di farlo. L'importanza dell'oggi è qualcosa che ho sempre riconosciuto, perché la mia è una storia di distanze e le distanze hanno come unico pregio quello d'insegnarti un paio di cose importanti. Una di queste, è proprio non dar nulla per scontato. Non esser ciechi davanti a qualcosa solo perché c'era ieri, c'è oggi, e con buona probabilità sarà qui anche domani.

Un altro aiuto in questo senso mi arriva dai miei cani, coi quali vivo in simbiosi. Delle loro esistenze sì che si potrebbe dire che scorrono sempre uguali, senza grandi scossoni. Svegliarsi, mangiare, giocare, uscire per la passeggiata, fare gli occhioni per qualche spuntino, sonnellini per la stanchezza o per la noia; seguire gli umani e cercare di far parte delle loro attività, curiosare in giro, coccolarsi. A grandi linee è tutto qui. Le varianti possono essere una passeggiata in un posto diverso, persone nuove che vengono in casa, incontri con altri pelosi. Eppure, la loro gioia per le stesse cose non diminuisce mai. E' una festa, sempre, per ogni attenzione che gli dedichi. Felicità appena apro gli occhi al mattino, felicità quando prendo il guinzaglio, felicità appena alzo le ciotole per preparare il pasto, felicità quando con un colpetto della mano sul divano li invito ad accoccolarsi accanto a me. Felicità espressa con tutto il corpo, dagli occhi che si spalancano e si illuminano, alle code che impazzano a destra e sinistra, alla forma serena che prendono i loro musi. E okay, che si continui pure a dire che sono menti tanto più semplici, come se questo collocasse gli animali a qualche gradino sotto di noi; io continuo a pensare che da loro abbiamo solo ed esclusivamente da imparare. E tanto.

Ero fuori con loro, poco fa. Li ho svegliati dal loro sonnellino accoccolati addosso a me sul divano, mentre mi rilassavo davanti alla tv, e sono uscita con loro in giardino per assicurarmi che facessero i loro bisogni. L'aria era di un fresco pungente, piacevole, così li ho incoraggiati a seguirmi nel terreno confinante. Mentre loro gironzolavano annusando e raccogliendo rametti – felici – io mi sono ritrovata a guardare il panorama. Da questa casa, la casa in campagna dei miei genitori, situata in cima ad una collina, si gode di un panorama bellissimo. Il paese in cui abitiamo non è un granché, è piccolo, noioso, decisamente poco stimolante; ma visto da quassù puoi dimenticartene, specialmente di notte, con le luci che sanno dare un tocco d'atmosfera agli ambienti più insulsi. Quando una persona veniva la prima volta in questa casa era la prima cosa che diceva: accidenti, che bel panorama! E noi si rispondeva quasi in coro be', sì, ma poi tanto non ci fai più caso. Quello a cui continuavi a fare caso invece era il lavoro per tenere tutto pulito, la scomodità di abitare un po' fuori mano, la noia di avere ben poco intorno.

Ho respirato a pieni polmoni, e mi sono lasciata andare ai pensieri guardando le luci lontane. Quelle dei posti che so riconoscere anche con un'occhiata distratta – la Chiesa, le scuole elementari e le medie, la piazza, qualche strada – e quelli di cui a stento conosco il nome. Le montagne, che sembrano un disegno.

Il mio ragazzo è tornato a casa sua per un paio di settimane, in una città tanto più vivibile di quella in cui si è trasferito per poter stare con me. Anche se son passati solo pochi giorni mi manca, e mi mancano le nostre cose di tutti i giorni, quelle normali che si rischia di non notare più, quelle che certe volte potrebbero persino stufarti. Mi rendo conto che non c'è soprattutto quando sto per fare un commento o una battuta che lui capirebbe – per cui riderebbe con me – e provo l'impulso di girarmi verso di lui, poi mi rendo conto che non è qui e mi trattengo. Il mio braccio destro.

Vivo in un conflitto d'interessi quasi perenne. Pensavo di desiderare ardentemente delle cose, che invece adesso quasi mi spaventano; a volte penso di volere l'opposto di quel che ho. In certi giorni cerco di vedermi da fuori, per immaginare cosa mi direi se fossi al di fuori di me. Giorni in cui mi sento sulla retta via, altri in cui penso di andare nella direzione più sbagliata possibile, a cui dovrò in qualche modo mettere le toppe.

Ma ci sono quei momenti, come quello di stasera all'aria aperta e davanti alle luci, in cui niente importa e tutto va bene. Momenti in cui c'è silenzio e pace e solitudine. Momenti che ci vogliono, che dovrei cercare più spesso ed in quei momenti ricordarmi che niente è banale, niente è scontato, niente è uguale.

L'originale dal banale.
Lo straordinario dall'ordinario.

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