mercoledì 18 novembre 2015

Libero chi legge #1: Via dalla pazza folla

Col lento sfumare dell'estate in autunno quasi automaticamente le mie voglie di lettrice volgono verso i paesaggi e le inconfondibili atmosfere della letteratura inglese, sia essa quella corposa dell'epoca vittoriana, quella fatta di tempeste che spazzano le brughiere delle sorelle Brontë, quella vivace della provincia di Jane Austen o quella inimitabile del teatro shakespeariano. I miei tempi di lettura son stati piuttosto lenti, ma nonostante questo dalla fine di settembre ad ora son tornata con piacere nel salotto di casa March – Piccole donne, Louisa May Alcott –, ho seguito le avventure di Pip in Grandi speranze di Dickens e dal cuore palpitante della city ho deciso di spostarmi per un po' verso la campagna, approdando nelle meravigliose ambientazioni bucoliche del Wessex, antico nome del Dorset, dove Thomas Hardy (1840 - 1928) era nato e cresciuto.


La protagonista di Via dalla pazza folla è Bathsheba Everdene. Un nome che mi ha subito incuriosita, che trovo davvero particolare e affascinante: mi aspettavo che l'eroina del romanzo fosse interessante quanto il suo nome. Bathsheba eredita la proprietà dello zio defunto, dovendo trasferirsi nella fattoria di Weatherbury; qui fa innamorare, di proposito o meno, ben tre uomini, di estrazione sociale diverse: un pastore, Gabriel Oak, un fittavolo, William Boldwood e un soldato, Francis Troy. Il romanzo dunque narra le vicende di Bathsheba sia come lavoratrice – poiché decide di restare lei a capo della fattoria – sia come donna, ed il destino dei tre uomini profondamente segnato dalle mosse di Bathsheba.

Quel che ho provato leggendo questo romanzo devo ammettere che non mi era capitato con nessun altro libro. E' stato strano, perché la mia opinione è spaccata in due di netto quasi si trattasse di due opere diverse: ho amato follemente la prosa di Hardy e sopportato a stento la storia. Nonostante la popolarità di Via dalla pazza folla sia al momento alle stelle a causa della recente uscita del film non mi sono informata molto su quel che il pubblico pensa di questo romanzo, sicché non ho idea se sono l'unica a pensarla così o se altri ritengono Bathsheba estremamente irritante. Il difetto più grande di questa donna è la vanità, e questo ci viene detto sin dalle prime pagine, e più di metà romanzo non fa altro che dimostrarlo. Mi aspettavo di trovarmi davanti un'eroina che facesse onore al genere femminile, invece ho provato solo fastidio nei suoi confronti. Se sul piano professionale si dimostra una donna in gamba, che dimostra a chi non lo credeva possibile di saper perfettamente gestire la proprietà che ha ereditato, come persona è estremamente sciocca ed infantile. Ho provato un minimo di interesse e compassione nei suoi confronti solo verso la fine, quando le vicende attraversate le hanno finalmente donato un po' di maturità e consapevolezza. 

Ben diversa, invece, è la caratterizzazione dei personaggi maschili: risultano molto più interessanti e degni di nota, tre uomini completamente diversi l'uno dall'altro che in comune hanno solo la sventura di essere rimasti soggiogati dalla bellezza di Bathsheba. Il pastore Gabriel Oak è stato sin dall'inizio il mio preferito, perché è un uomo pieno di dignità. La sua pacatezza, la sua riservatezza, la piena consapevolezza che ha di sé e dei propri mezzi, la serietà con cui conduce la sua esistenza. E' quel tipo di persona che parla poco ma fa più di chiunque altro ed è impossibile non nutrire per uno così rispetto e stima. Boldwood è invece un uomo particolare: rappresenta quanto di più simile ad un "signore" che Weatherbury potesse vantare e prima che Bathsheba s'insinuasse nella sua placida esistenza era il ritratto della pacatezza. Conoscendolo così – uno scapolo che mai aveva nutrito interesse per il sesso femminile, al punto da non esser nemmeno certo di poter dire se una donna fosse davvero bella – il lettore resta davvero spiazzato nel vederlo perdere completamente la testa per amore, come un bambino che una volta scoperto il suo giocattolo preferito non si sogna più di farne a meno. Il terzo ed ultimo pretendente, il soldato Troy, rispecchia perfettamente la categoria che è chiamato a rappresentare: gli uomini frivoli, quelli in grado di ammaliare le ragazzine grazie al proprio fascino e alla totale sicurezza di sé, quelli che fanno promesse che non hanno la minima intenzione di mantenere e che prendono tutto – soprattutto le questioni sentimentali – ben poco seriamente. Il fatto che Bathsheba si lanci tra le braccia di quest'ultimo sottolinea i motivi per cui non nutro grande simpatia nei suoi confronti.


Ma la cosa che davvero ho amato di questo romanzo, come dicevo, è stata la scrittura di Hardy, che dà il suo massimo nelle descrizioni. A mio avviso le descrizioni sono uno dei banchi di prova per uno scrittore perché – diciamocelo – quanto possono annoiare? Le descrizioni di Hardy invece, tanto quelle dei paesaggi quanto quelle dei personaggi, sono in grado ogni volta di accendere l'interesse, di risvegliare il lettore un po' annoiato dalle sciocchezze di Bathsheba. Le presentazioni dei caratteri maschili, svolte alla giusta distanza l'una dall'altra, sono magistrali; le descrizioni delle vallate e dei campi, invece, delle abitudini e dei caratteri degli animali e dei lavori svolti dai vari dipendenti della fattoria sono assolutamente coinvolgenti e affascinanti: restavo rapita, ogni volta che in scena compariva Gabriel, dalla sua profonda conoscenza dell'ambiente in cui viveva. Bellissimo il racconto di come studiando l'atmosfera una notte capisce per certo che verrà giù un brutto temporale, e che è necessario mettere al riparo il raccolto; tra le pagine più belle lette in vita mia, quelle di Gabriel sotto il cielo stellato, che descrivono il sentimento dell'uomo davanti alla percezione del movimento terrestre. Poesia, magia, arte.

Quindi, anche se ci ho messo un sacco a finirlo e anche se – come penso di aver ampiamente chiarito – non ho sopportato la protagonista, questo è un romanzo assolutamente da leggere per quanto riguarda e la bellezza della prosa e quella dei contenuti – ambientazione e atmosfere bucoliche, periodo storico, Gabriel Oak, i personaggi secondari.

Adesso non vedo l'ora di vedere il film, chissà che Carey Mulligan – attrice che trovo talentuosa ed adorabile – non riesca a farmi stare più simpatica Bathsheba.



2 commenti:

  1. Bella recensione! Non ho mai letto nulla di Thomas Hardy, e in generale devo dire di non essere particolarmente esperta della letteratura inglese ottocentesca (se non fosse altro per Jane Austen e le sorelle Brönte). Però nonostante le riserve che hai espresso, questo libro mi ha suscitato interesse. Dicevi all'inizio che il nome Bathsheba ti ha incuriosito, a me in questo caso incuriosisce il doppio, perché (non mi chiedere da dove diavolo mi venga questa reminiscenza) nella tradizione biblica Bathsheba indica la donna ammaliatrice per eccellenza. Chissà se Hardy ha scelto di proposito o meno questo nome, allora.
    Non sapevo inoltre che Carrey Mulligan avesse recitato in questo film! Anche io la adoro, sto brevemente parlando di lei in un mio articolo sul blog dedicato alla trasposizione cinematografica di Northanger Abbey di Jane Austen :)

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    1. Era difficile non "innamorarsi" di Carey Mulligan dopo la sua impeccabile interpretazione di Daisy in "Il grande Gatsby". Certe attrici sembrano davvero esser nate per recitare la parte di eroine d'altri tempi, e lei è senz'altro una di queste secondo me.
      Hai perfettamente ragione a sottolineare la corrispondenza del nome Bathsheba con la tradizione biblica, avevo letto questa cosa di sfuggita ma non ho avuto l'accortezza di approfondire. E' molto probabile che non sia una coincidenza, anche perché uno scrittore come Hardy dubito che lasciasse certe sottigliezze al caso.
      Grazie di esser passata, sono felice che la mia recensione ti sia piaciuta :)

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