domenica 12 maggio 2019

Una piccola cosa che ne contiene cento

Io e le mie amiche ci diciamo spesso l'un l'altra che esiste un momento giusto per qualunque cosa. Le mie amiche non si conoscono tra di loro, non direttamente o non intimamente almeno, perciò non si tratta di una frase facile divenuta una bizzarra convinzione di massa: è qualcosa che, in certi casi, ci viene spontaneo dire, come fosse una solida costruzione semantica cui aggrapparsi in caso di disordini sismici. E proprio per questo, da qualche tempo, ho cominciato a rifletterci: esiste il momento giusto per ogni cosa - sembrava così vero ogni volta che mi è stato detto, sembrava così vero ogni volta che l'ho detto, eppure - eppure sarà vero, oppure è un'idea di cui abbiamo bisogno per giustificare tutti i ritardi, tutti gli anticipi, tutti gli anelli mancanti? Io e le mie amiche, ormai orbite di quei lontanissimi trent'anni, e nessuna che ha con sé tutto ciò che sembrava indispensabile per arrivare preparate alla soglia di questa fase di vita. C'è chi ha una relazione stabile ma neppure l'ombra di una professione, chi ancora studia e attraversa le giornate convincendosi che l'essere adulti è qualcosa di ancora distante, chi lavora sodo tutti i giorni facendosi al contempo mille domande, chi ha fatto tutto di corsa, raggiungendo tutte le tappe in tempo, per poi trovarsi a fare i conti con l'abc del saper prendersi cura di sé. Non si può avere tutto, non si è mai completi, ma se mi guardo attorno mi vien da pensare che non è giusto neanche sentirsi così tanto incompleti.

Un cantautore che mi è vicino al punto da avere un tatuaggio in omaggio alle sue canzoni sull'avambraccio sinistro dice che è un superpotere essere vulnerabili, ed oggi sto riscoprendo una scossa alla volta quanto potere mi scorre nelle vene. Continuare a scrivere su questa linea mi porterebbe a fare qualcosa che ho deciso di non fare più, non su questo blog, ovvero esporre le viscere, usare il mio superpotere e mettermi a nudo - è già sottopelle quella fatica, quel nodo allo stomaco, sono in piedi sul ciglio, frammenti di terra e di roccia già si frantumano e rotolano a valle, laggiù c'è la lava che bolle, fa già così caldo che mi metterei ad urlare, figuriamoci se mi avvicino. Non so se quella frase che ci diciamo io e le mie amiche è vera, ma se esiste un momento giusto per ogni cosa allora deve esistere anche il posto giusto per ogni cosa. E questo blog, anche se ci ho provato ed anche se in parte mi sarebbe piaciuto, non è il luogo giusto per esporre i miei detriti spaziali. Forse non è vero, forse è l'ennesimo salvagente che sto lanciando tra me stessa e quel dirupo che c'è dentro, è l'ennesimo recinto di protezione che sto costruendo tra il mio dirupo e la gente fuori, che ignara e felice potrebbe finirci dentro senza volerlo mentre si fa una corsa in uno di questi bei giorni primaverili. E va bene così, ho bisogno di salvarmi da tutto questo adesso, perché quella che ho da raccontare io è tutta un'altra storia che non va bene né per questo né per nessun altro blog. Mi sono presa il mio tempo per fare le valigie, piena di confusione, di rimorsi, di rimpianti, di ricordi scacciando un vago senso di delusione, guardandomi attorno con l'aria di una che sta lasciando un posto in cui ha vissuto così tanto eppure con la triste sensazione di non averci lasciato quasi niente. Come una bellissima odissea di cui nessuno si ricorderà, eh sì. C'erano cose da capire, ed ora che almeno questa cosa qui l'ho capita so che non devo andarmene per sempre, ma devo tornare per bermi un cappuccino e fare una chiacchierata, non per sedermi a terra e restarci quattro giorni consecutivi, dai quali riemergere con le occhiaie, i capelli scompigliati, piena di graffi ma piena dentro come non ero da un anno e mezzo. Questa, appunto, è un'altra storia. Prendo il mio superpotere, e vado ad essere vulnerabile da un'altra parte, perché non sono in grado adesso di sopportare facce appese alla finestra. Mi bastano quelle due persone contate che farò entrare io, e che vedendomi ridotta così non saranno né preoccupate né spaventate. L. mi sorriderà piena di orgoglio e nell'incrociarsi i nostri sguardi produrranno scintille tali che non ci sarà bisogno di abbracci, finalmente il coronamento delle nostre battaglie, i nostri sbagli che diventano successi; M. invece mi metterà una mano sulla spalla, delicata e salda, e mi dirà qualcosa come "so com'è stato, ed è tutto bellissimo".
Sono pronta a chiudermi in quella stanza vuota, anche se fa paura quel superpotere che potrebbe esplodermi in mano. Ma sono pronta, soprattutto perché là fuori, sedute come i parenti fuori dalle sale operatorie, ci siete voi due, forti e fiduciose, splendide ed insostituibili. 

Ad L., che senza di lei non saprei di cosa scrivere perché la mia scrittura ha la sua forma, il suo passo, il suo odore, anche se non riuscirò mai a spiegare a qualcun altro quel mistero che siamo noi due. Ci sei da sempre, e so che ci sarai per sempre perché troveremo il modo qualunque cosa accada, come quella volta in cui chiunque altro si sarebbe messo in salvo sulla prima scialuppa che trovava, mentre noi siamo rimaste strette su una zattera anche se sembrava destinata ad affondare. E' stata dura, ma avevamo ragione. 

Ad M., la mia amica specchio, che non si prende mai il merito di nulla eppure mi aiuta sempre ad uscire dai grovigli in cui rimango incastrata. Ci sei da poco, ma so che ormai ci saremo per sempre l'una per l'altra, perché due come noi che si legano tanto e così in fretta non potranno mollarsi mai più. 

D'ora in poi, su questi lidi, si torna a parlare di libri.

Anna Karénina, Lev Tolstòj

Anna Karénina , Lev Tolstòj, Russia 1875-77 – ma anche qualsiasi altro luogo e tempo dacché esistono l’uomo e la donna. Il commento al rom...