domenica 15 novembre 2015

Non parlo, ma sento

Sarò breve.

Nessuno riesce a restare in silenzio davanti a quanto è accaduto a Parigi, anche se le persone più informate e dotate di buon senso sono consapevoli di quanto sia poco saggio sparare opinioni banali e superficiali su una questione di tale portata. Aprendo i social, Facebook in particolare, si subisce un bombardamento: dibattiti sulla religione - se questa c'entri o meno -, dibattiti tra chi vuole distruggere le moschee e bombardare con gli aerei, tra chi difende i musulmani normali e chi sostiene che siano tutti terroristi. Gente che, con ben poca cognizione di causa, strumentalizza gli scritti e le idee di Oriana Fallaci per dare un tono alle proprie sentenze e chi, a sua volta, risponde con Tiziano Terzani.

Le tragedie in Occidente si risolvono sempre in un dibattito culturale, e mentre siamo impegnati a trovare prove per sostenere le nostre tesi ci allontaniamo pian piano da ciò che effettivamente è accaduto, lasciando che 128 morti diventi solo un numero, un dato da cui partire per accendere gli animi e dire la nostra. Finché non accade qualcos'altro in grado di surclassare il dato precedente.

Io non ho nulla da dire, non sono un'esperta di geopolitica, non so più di altri delle tensioni che percorrono il Medio Oriente. L'unica cosa che so è che è fin troppo facile provare empatia, pensare che potevo esserci io in uno dei luoghi attaccati a Parigi, o il mio compagno o uno dei miei familiari. Penso a come per tutti noi, al di là della raffica di informazioni e delle riflessioni che scatenano, la vita continui. Il mondo continua a muoversi, la mattina prendiamo il caffè, usciamo per una passeggiata. Ma per quelle cento ventotto persone e per tutte quelle che a loro erano legate il mondo ora è fermo, niente è più come prima e chissà quanto tempo ci vorrà prima che il caffè abbia di nuovo sapore e uscire per una passeggiata torni ad essere una cosa che ha senso.

L'informazione è giusta, ben venga anche. Va bene cercare di capire cosa sta succedendo, va bene voler capire come affrontare quel che verrà. Ma l'unica cosa che ci aiuterà a non dimenticarci di quel che proviamo in questi giorni non appena accadrà qualcosa di peggio sarebbe sapere chi erano quei 128. I nomi dietro il dato. Se fossi una giornalista farei questo nei prossimi mesi: andrei da chi li aveva conosciuti a farmi raccontare chi erano le persone che conosciamo solo come un dato. Non per fare scalpore, solo per non dimenticare.

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