sabato 25 aprile 2020

La principessa Mononoke, Hayao Miyazaki (1997)

Netflix ha fatto l'ennesima cosa buona e giusta per i suoi abbonati: inserire nel proprio catalogo, un po' alla volta, i film dello studio Ghibli. Trovandoseli davanti, come resistere alla tentazione di guardarli e - in alcuni casi riguardarli - tutti? Impossibile, dal mio punto di vista, ecco perché ho deciso di istituire (qui in casa mia, s'intende) le Friday Ghibli Nights. Il che significa che ogni venerdì sera sarà impegnato con la visione dei più bei film d'animazione giapponese. Abbiamo cominciato proprio ieri con La principessa Mononoke, uscito nelle sale nipponiche il 12 luglio dell'ormai lontano 1997, e che ancora vanta in patria uno dei più alti incassi al botteghino, secondo solo a Titanic

Ho chiesto al piccolo pubblico di Instagram se poteva interessare una mia opinione in merito a questi film, ogni sabato, e mi è stato risposto di sì. Avevo pensato di farlo in un format più immediato proprio attraverso il social, ma mi sono resa conto ben presto che è impossibile - o comunque sarebbe troppo riduttivo - parlare dei film di Miyazaki e dello studio Ghibli in maniera così riassuntiva. Perciò eccomi qui, pronta a dilungarmi in un post senza limiti di spazio.


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Ashitaka in groppa a Yakul

E' un giorno come tanti, nel pacifico villaggio del popolo Emishi, quando un cinghiale dalle proporzioni enormi arriva all'improvviso determinato ad attaccare. La gente, in particolar modo uno degli anziani, capisce subito che l'animale deve esser posseduto da uno spirito maligno. Il loro principe, il giovane Ashitaka, non esiterà a battersi per proteggere il suo popolo e pur riuscendo ad uccidere la bestia riporta sul braccio una brutta ferita. Non una ferita qualunque, purtroppo, ma una maledizione inflittagli dallo spirito maligno, che lentamente gli avrebbe corroso le carni fino all'osso conducendolo ad una morte sofferta. Consultandosi con gli anziani, il ragazzo comprende che la sua unica possibilità è quella di lasciare il villaggio ed il popolo Emishi, e di incamminarsi verso Ovest dove forse - si dice - potrebbe trovare una cura. Ed è così che, quella notte stessa, Ashitaka parte in groppa al suo fedele e dolcissimo stambecco, Yakul.


San, la principessa Mononoke, e Lady Eboshi

Il suo pellegrinaggio lo conduce alla Città del Fuoco, una città piuttosto particolare dove le donne sembrano avere un ruolo dominante, e dove infatti è una donna a governare, l'ambiziosa e spietata Lady Eboshi. E sono sempre le donne a lavorare nella fucina, cuore pulsante della Città di Fuoco, mentre gli uomini sono per lo più mandriani o svolgono lavori simili. La fucina, per essere alimentata, necessita di costante materia prima ed è per questo che gli abitanti di questa città - e Lady Eboshi in particolare - si stanno appropriando un pezzo alla volta della foresta. Anche altri popoli nutrono lo stesso desiderio di espansione, ma vengono puntualmente sconfitti dalle potenti armi degli abitanti della Città del Fuoco. Nella foresta vive San, la principessa Mononoke (principessa Spettro, in italiano) abbandonata quando era solo una neonata, è stata allevata dai lupi e vive a tutti gli effetti come una di loro. San e Lady Eboshi sono da tempo impegnate in un'aspra guerra, che rappresenta ovviamente la lotta tra uomo e natura: se l'uomo usa la violenza sulla natura per egoismo e tornaconto personale, la natura risponde con altrettanta violenza al fine di difendersi.
Ashitaka si troverà coinvolto in questo doloroso scontro, ma non si schiererà mai con una fazione o con l'altra. La sua imparzialità rappresenta la possibilità dei due poli di coesistere, di trovare un punto d'incontro per convivere armoniosamente. Uno dei messaggi fondamentali del film, infatti, è proprio la necessità di ritrovare un equilibrio tra uomo e natura da troppo tempo perduto, e che questa sia in realtà l'unica strada possibile affinché la vita che conosciamo continui ad esistere.

L'ambientazione del film è molto significativa, poiché Miyazaki ha scelto il periodo Muromachi, che va dal 1336 al 1573 e che potremmo definire come una sorta di "medioevo" giapponese. Dopo millenni di armonia, durante i quali l'uomo aveva vissuto nelle terre del Sol Levante senza deturparle, il rapporto idilliaco con l'ambiente viene incrinato - come storicamente è sempre accaduto - da un principio di industrializzazione: l'epoca Muromachi fu infatti il momento in cui il Giappone cominciò la sua modernizzazione, introducendo l'uso del ferro e la creazione di nuove armi, molto più pericolose e potenti di quelle che erano esistite fino ad allora. La Città del Fuoco ed i suoi abitanti sono la perfetta rappresentazione di questo momento.


Il dio-bestia della Foresta, in una delle sue forme

Tale ambientazione è ovviamente arricchita da numerosi simboli ed elementi ripresi dal folklore tradizionale giapponese. Abbiamo perciò la Natura, meravigliosamente espressa dalla Foresta, un luogo incantevole abitato dal dio-bestia, che potremmo definire la personificazione stessa della natura. Questa creatura, pressoché impossibile da descrivere a parole, di giorno assume la forma chiamata shishigami e di notte un'altra, definita daidarabotchi. Egli presenta fattezze che ricordano animali di specie diverse, ed un volto scimmiesco con dei tratti umani. La complessità del suo aspetto sembra suggerire che il dio-bestia sia il riassunto di tutte le cose, diventando anche un simbolo di come la diversità possa mescolarsi in un risultato armonioso. Il modo in cui si comporta rispecchia proprio l'idea che potremmo avere di una divinità giusta e saggia: pur avendo in sé la capacità di decidere sulla vita e sulla morte, nonché un potere smisurato che sarebbe capace di spazzare via gli umani usurpatori in un secondo, il dio-bestia interviene raramente. Continua a conservare e mostrare serenità anche quando i colpi inferti alla Foresta si fanno più violenti, e sembra essere presente come uno spettatore, al di sopra di tutte le cose, che lascia che il destino si compia, agendo solo quando una sua azione si rende inevitabile.


I Kodama, adorabili spiritelli degli alberi

La Foresta è poi abitata dai Kodama, vivaci spiritelli che nel folklore nipponico sono considerati gli spiriti degli alberi. Un luogo, quando loro vi abitano, è considerato fertile e prospero e per questo abbattere un albero, che è la loro casa, porta sfortuna a chi si macchia di questa azione. Nel film, infatti, ce ne sono tantissimi all'arrivo del principe Ashitaka, ma man mano che la Foresta subisce i soprusi della guerra tra uomini ed animali se ne vedono sempre meno, fino al momento in cui tutto pare troppo silenzioso perché i Kodama sono spariti.

San in groppa alla lupa madre

E veniamo poi agli animali: ad abitare la Foresta sono in particolare tre specie. I lupi, i cinghiali e gli oranghi. Spesso le tre fazioni si trovano in disaccordo, ma avendo come obiettivo comune quello di salvare la propria Foresta ed essendo tutti mossi dal rancore e dal desiderio di vendetta verso gli umani, riescono di volta in volta a trovare il modo di collaborare, o quanto meno di non scontrarsi apertamente, a differenza di quanto sanno fare gli uomini spesso accecati dall'egocentrismo. Un'altra cosa che caratterizza questi animali è il fatto che sono tutti rappresentati come creature maestose, di dimensioni giganti ed imponenti, soprattutto la lupa madre ed il dio-cinghiale.

Un esempio dei tratti violenti che distinguono
La principessa Mononoke dagli altri film dell'autrore

La principessa Mononoke è il sesto film scritto e diretto dal maestro Miyazaki ed è interessante notare come si discosti, per alcuni tratti significativi, dal resto della sua filmografia. Uno di questi riguarda sicuramente la violenza: le immagini sullo schermo si fanno spesso più crude di quanto lo studio Ghibli ci avesse abituati, gli scontri sono accesi, dalle ferite sgorga abbondantemente sangue rosso e vivido, le morti non vengono risparmiate; l'altra differenza importante, riguarda la rappresentazione degli animali. Le creature "non umane" di Miyazaki hanno quasi sempre un aspetto dolce, tenero, ma soprattutto caratteri ed atteggiamenti benevoli, senza alcuna traccia di lati oscuri - pensate solo a Ponyo, a Totoro, ai vari gatti che compaiono nei film. Qui, invece, pur essendo fondamentalmente buoni gli animali sono a loro volta mossi da sentimenti negativi, in particolar modo dall'odio e dalla sete di vendetta sugli umani usurpatori. Perciò, anche se il loro obiettivo è indiscutibilmente giusto e legittimo, si potrebbero invece mettere in discussione i sentimenti che li dominano.

E così si viene alle altre questioni che secondo me emergono dal film. Oltre al già abbondantemente citato rapporto tra uomo e natura, viene portato sullo schermo anche il classico divario e scontro tra bene e male cominciato all'alba dei tempi e che esiste non soltanto in generale, ma anche all'interno delle singole cose e creature. Entra perciò in gioco il discorso del libero arbitrio, affinché il bene non sia solo bene in quanto tale, ma divenga piuttosto il frutto di una scelta di chi decide di agire in un senso o nell'altro. Ed è proprio questo il lato che ho trovato più interessante, perché rende i personaggi molto più complessi di quanto si potrebbe pensare a primo impatto: anche se così sembrerebbe, non si può etichettarli nettamente come buoni o cattivi, poiché racchiudono in sé elementi di luce e di buio.

San, ad esempio, pur lottando per una causa più che giusta, è spinta a combattere più dal desiderio di vendicarsi e dall'odio verso gli umani che da sentimenti positivi. Inoltre, non bisogna trascurare il fatto che lei rinnega la propria natura, al punto da usare un travestimento per combattere che la camuffa, dandole sembianze animalesche. Anche tu sei umana, le ricorderà più volte Ashitaka, ma lei rifiuta di riconoscersi come tale. E se questo è comprensibile, dato che è stata abbandonata dalla sua specie originaria, resta comunque un elemento che conferisce oscurità, complessità e contraddizione al suo personaggio, che è altrimenti facile vedere come eroina dal momento che combatte in prima linea per la causa giusta.

Stesso discorso, anche se al contrario, va fatto per Lady Eboshi, senza dubbio la cattiva della situazione, colei che in capo al suo popolo sta concretamente usurpando la natura. Ma bisogna anche riconoscere che è un ottimo capo per la sua città, che ha creato casa, lavoro ed opportunità per persone che forse non ne avevano. Per lei infatti lavorano persone affette da uno stadio avanzato della stessa maledizione/malattia che ha colpito Ashitaka, che per questo sono tutte avvolte in fasce, chi senza gambe, chi senza braccia, chi ormai non può far altro che starsene sdraiato ed attendere la fine. E' proprio uno di loro che, con un fil di voce, racconta come Lady Eboshi sia stata l'unica a prendersi cura di persone come loro, medicandoli e dandogli ancora un posto nel mondo. Lady Eboshi è anche, chiaramente, una rappresentante del femminismo, la quale ha creato come già accennato una società in cui le donne hanno un ruolo attivo e quasi dominante. Di contro, personifica anche l'ambizione umana, pronta a tutto pur di realizzare i propri scopi.

Fa eccezione, in questo senso, Ashitaka. Lui è l'unico a "non avere gli occhi offuscati dall'odio", è un eroe buono che si distingue - anche da altri eroi tipici - per una fermezza nel modo di agire che fa risaltare la sua completa neutralità rispetto le cause degli uni e degli altri, un super partes degno del massimo rispetto, che può per questo svolgere il suo ruolo di tramite tra due nemici dichiarati come San e Lady Eboshi, come l'uomo e la natura. Non è un caso, secondo me, se il suo fedele stambecco Yakul è a sua volta l'unico animale che non mostra mai alcun segno di aggressività, neanche quando viene ferito ad una coscia da una freccia, e l'unica cosa che vuole fare è comunque seguire il suo umano, nel segno dell'amore e della fedeltà reciproca che li lega. Ashitaka rappresenta il senso più puro di giustizia, che non si piega alle ragioni degli uni o degli altri, ma è sempre una ed una soltanto.

La conclusione del film resta coerente col pessimismo generale dell'opera, ma lascia degli spiragli di speranza. La guerra tra uomo e natura arriva a compimento, e le conseguenze dovrebbero essere d'insegnamento a tutte le parti coinvolte. Il dio-bestia viene ucciso dagli uomini, scatenando la sua implacabile furia, quietata grazie a San ed Ashitaka; la Foresta sembra rinascere dal suo spirito, ma il fatto che dio-bestia non esiste più sembra suggerire che non ci sarà una seconda chance. Gli animali più maestosi, ovvero la lupa madre di San ed il dio dei cinghiali, hanno perso la vita nello scontro e la stessa Lady Eboshi ha perso un braccio. Starà a lei, ora, organizzare la sua città senza più nuocere all'ambiente che la circonda.

Molto bello, infine, che Ashitaka e San riconoscano di volersi bene, ma che nessuno dei due sacrifichi la propria natura. San è una selvaggia, e non potrebbe rinunciare alla sua vita coi lupi, mentre Ashitaka è un umano, e non sarebbe in grado di vivere alla sua maniera. Ti raggiungerò a metà strada, le dice lui, segno che i due giovani continueranno ad essere il punto d'incontro tra Uomo e Natura.



E nelle scene finali, comunque, compare un Kodama.














Anna Karénina, Lev Tolstòj

Anna Karénina , Lev Tolstòj, Russia 1875-77 – ma anche qualsiasi altro luogo e tempo dacché esistono l’uomo e la donna. Il commento al rom...